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I racconti di Amelì

Anita Voltolini e il cugino Guido Rigoni

Paolino Voltolini, sposatosi con Tersilla Parolini subito dopo la guerra del 1915-1918, ebbe quattro figlie, Cornelia, Anita, Vanda, Ivonne, e un maschio, Giuseppe. Le ragazze crebbero allegre, svelte, amavano la musica, andavano in chiesa ed erano invidiate dalle amiche, perché da casa loro, vicina alla Canonica, attraverso porticine e stretti corridoi, raggiungevano sempre un posto privilegiato alle funzioni, nel coro dietro l’altare maggiore. Giuseppe, il fratello, si era fatto un gruppo di amici, tra cui suo cugino Gianbattista Galeazzi, Attilio Rizzetti, Stefano Avanzi e Mario Pedrini, che amavano appassionatamente il lago e tornavano a casa a sera tardi, nonostante le grida delle madri, dopo nuotate, remate e giochi vari sulle spiagge di Desenzano.

Il 26 dicembre 1939 Anita, una delle figlie di Paolino, non ancora ventenne, sposava Cesare Ziglioli, di sette anni più grande di lei, gestore di un suo negozio di salumeria in via Piatti 25. Questo matrimonio fu l’ultima occasione in cui si trovarono insieme sereni i Voltolini. Officiava mons. Ferdinando Arcozzi già malato. Suonò lieto le campane il sacrista Paolo Voltolini, il padre della sposa. Erano presenti alla cerimonia, oltre gli altri figli, la zia Lucia Voltolini in Sala, sua figlia Teresita sposata nei primi anni ‘30 con il maestro Guido Rigoni, rimasto vedovo con una bambina.

Arrivò più presto di quanto non si pensasse il 1940. In giugno ci fu la dichiarazione di guerra alla Francia e in ottobre la dichiarazione di guerra alla Grecia. Il primo a essere richiamato alle armi fu il giovanissimo Giuseppe Voltolini, destinato al fronte greco-albanese. Subito dopo venne convocato alla Caserma del Genio di Udine Guido Rigoni, che come capitano ricevette il comando di una  compagnia. Il capitano Rigoni si fece raggiungere in autunno dalla famiglia, dalla moglie Teresita e dai figli Maria Luisa, Alberto, Graziella. Alberto, di sei anni, iniziò a frequentare la prima elementare a Udine. In principio, sia Giuseppe Voltolini sia Guido Rigoni scrivevano regolarmente a Desenzano.

La madre e il padre di Giuseppe Voltolini aspettavano con ansia le lettere e rispondevano immediatamente. Guido Rigoni scriveva alla suocera Lucia Voltolini Sala e dava notizie della famiglia, inviò qualche biglietto d’auguri pure all’amico chirurgo dott. Dante Barberini, conosciuto durante i vent’anni di insegnamento a Desenzano. Nel novembre del 1940 le lettere di Giuseppe iniziarono a diradare per riprendere un corso normale nell’aprile del 1941 con l’occupazione italo-tedesca della Grecia, ma si limitavano ai saluti e cessarono dopo i primi mesi del 1943.

Guido Rigoni invece, in seguito all’affondamento nell’Adriatico di una nave che trasportava centinaia di Alpini diretti in Ucraina, venne assimilato, lui che era del Genio, in un nuovo battaglione di Alpini della Julia. Salutata a Udine dal Re Vittorio Emanuele III la nuova compagine militare, Guido Rigoni passò a Trento e quindi con i suoi soldati, dopo un viaggio lunghissimo, arrivò a Karcov sul Donez nel 1942. L’ultima lettera di Guido Rigoni alla famiglia porta il timbro del 17 gennaio 1943.

Nel 1945, dopo il caos degli ultimi mesi di guerra, Giuseppe Voltolini ritornò a fine estate a Desenzano, dove suo padre era morto a 57 anni nell’aprile del 1944. Invece il nome di Guido Rigoni risultò inserito nella lista dei dispersi in Russia. L’ultimo a vederlo, dopo che l’ufficiale già ferito era stato portato a spalle per un tratto di strada dall’attendente, fu Edoardo Spagnoli, il maggiore dei cinque fratelli Spagnoli di Capolaterra di Desenzano. Lo aveva riconosciuto in una persona molto indebolita distesa su un lettuccio dentro un’isba della pianura ucraina. Guido Rigoni era stato il maestro elementare di Edoardo, che lo rivide, giacente, provando “ün gran magù” (una stretta al cuore). Guido Rigoni era solo, perché l’attendente era morto nel tentativo di portare in braccio oltre un fosso semighiacciato il suo comandante, salvato in extremis da soldati presenti a quel guado. La pressione della fiumana degli Italiani durante quella drammatica ritirata dal Don del marzo del 1943 aveva poi separato Edoardo dal maestro.

Guido Rigoni ebbe il grado di Maggiore e fu decorato al valor militare. Ci volle tempo prima che gli affetti spezzati, i traumi del lungo confitto decantassero nelle famiglie di Desenzano e d’altrove. Anita, che aveva preso l’affabilità del padre Paolino e la fortezza della madre Tersilla, portava avanti l’andamento familiare con coraggio. Diede alla luce cinque figli, di cui uno morto poco dopo la nascita, nati durante la guerra e negli anni immediatamente successivi. Era orgogliosa dei suoi ragazzi e gli occhi le brillavano quando ne parlava.  Oltre a badare alle faccende domestiche, aiutava Cesare suo marito nella salumeria sotto casa in via Piatti. Avevano clienti in via Lorenzini, in via Murachette, in via Gherla, in via Vittorio Veneto, in via Piatti, in via Garibaldi. Durante la guerra e nei successivi cinque anni, molte madri di famiglia chiedevano al Cesare e all’Anita di segnare su un quadernetto dalla copertina nera quanto loro dovevano, perché non avevano soldi. Le clienti si limitavano a comperare l’essenziale per la minestra o la pasta della settimana, se non andavano a prenderle alla San Vincenzo. Anita e Cesare acconsentivano sorridendo a segnare il debito e soprattutto Anita ascoltava con pazienza le storie familiari che qualche donna si soffermava a farle, più che altro per sfogarsi.

Anita, col suo volto aperto e sorridente, amante delle battute come usava allora negli esercizi di paese, fu per anni la regina di via Piatti e di via Murachette. Tutti conosceva e tutti la conoscevano. Dopo gli anni ’60 il quartiere e l’atmosfera cambiarono, perché cambiò la gente che lì abitava: Desenzano da paese diventava città e le case del vecchio centro mutavano inquilini e clima sociale.

Appena i figli furono grandi e autonomi, Anita prese a frequentare il Coro di San Giovanni del Maestro Ettore Fantoni, come già suo padre aveva fatto parte del coro di don Igino Peduzzi prima della guerra. Cantava da soprano, mentre Angelica Tonin Tomasi e Adriana Ferro facevano da contralto. Anita diceva che aveva la musica nel sangue, perché in famiglia si faceva musica; infatti suo padre Paolino Voltolini, come sacrista, suonava le campane. Partecipò alle attività del coro per anni e, sempre col marito Cesare, andava agli incontri conviviali, seguiva le trasferte e non mancava ai viaggi d’evasione. In non poche occasioni portava dolcetti, brioche, cioccolatini. Anita festeggiò con il coro il cinquantesimo e il sessantesimo di matrimonio, offrendo il pranzo agli amici. Benché Anita frequentasse la chiesa di San Giovanni, vale a dire la parrocchia di Capolaterra, una volta alla settimana scendeva in Piazza, faceva le spese nei vecchi negozi dei quali conosceva bene i gestori ed entrava a far visita nel Duomo di Santa Maria Maddalena.

Diceva che questa era la sua chiesa, perché era quella dell’infanzia e della giovinezza, era quella che aveva fatto da scenario alla vita di suo padre. Ma un giorno d’inverno cadde sul marmo bianco, reso scivoloso dal gelo, dell’ingresso che guarda vicolo dell’oratorio e si ruppe il femore. Venne operata e con tenacia si sottopose agli esercizi di riabilitazione fino a rimettersi in piedi e a camminare senza stampelle e bastone. Cesare e Anita invecchiarono con accanto figli e nipoti nell’appartamento dal bel poggiolo, sopra il negozio che il figlio Paolo e la gentile moglie continuano a gestire. (Nell’immagine: il 50° anniversario di nozze di Anita e Cesare.)

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