giovedì, Aprile 25, 2024
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Il presidente a Solferino e San Martino: recuperare i valori del Risorgimento

Ciampi: «Un Tricolore in ogni famiglia».

Carlo Azeglio Ciampi racconta sempre che quando vede sventolare la bandiera o sente suonare l’inno di Mameli, gli «tremano le gambe». E spiega che la sua azione di pedagogia civile punta, un passo dopo l’altro, a rianimare dello stesso orgoglio patriottico tutti gli italiani, troppo inclini alla depressione per mancanza di autostima. Ora imprime un nuovo scatto a questa politica della memoria. Con un appello che, per il candore e lo slancio, va ben oltre la funzione d’ufficio: «Adoperiamoci perché in ogni famiglia, in ogni casa ci sia un tricolore per testimoniare i sentimenti che ci uniscono, fin dai giorni del Risorgimento». Sono parole che ricordano quelle pronunciate anni fa da Lucia Massarotto, la veneziana che sfidò i raduni padani esponendo appunto il vessillo nazionale come una sorta di antidoto davanti alle insegne del carroccio, ricevendone in cambio aspre invettive. Stavolta davanti al capo dello Stato non c’è l’ombra di una contestazione, a Solferino e San Martino, e dunque nel medesimo Nord che sognava di «liberarsi». Solo la curiosa assenza dei leghisti (mancano sia quelli assurti a incarichi di governo, come il ministro Bossi e il capogruppo alla Camera Cè, e mancano pure i peones locali), rimarcata come un «affronto» dall’Ulivo. E c’è poi qualche educato cartello del «Garda Social Forum», che insiste per il «no alle guerre», e allude ovviamente all’Afghanistan. Quindi: tutti, o quasi, d’accordo sugli onori alla Patria, nel 140° anniversario dell’indipendenza. E d’accordo anche nel recupero dei valori, a partire da quelli del Risorgimento che proprio nella battaglia combattuta qui segnò l’inizio della decadenza per l’impero asburgico dell’Austria. Ciampi ripensa ai giovani di allora, visitando il sacrario, e nel tracciarne l’identikit mostra una nostalgia che sembra un richiamo a rifare nostra la questione morale. Dice infatti che «furono una classe dirigente onesta, disinteressata, diffusa in ogni città, paese, regione d’Italia». In più, aggiunge, erano «uomini con storie e provenienze diverse», «pieni di passione». E «tanti erano studenti guidati dai loro professori», con un bagaglio culturale che attingeva a gente come Alfieri, Foscolo, Leopardi Manzoni, Pellico, Cattaneo. Nomi che il presidente cita assieme a quelli di D’Azeglio, Cavour, Garibaldi, Ricasoli, Vittorio Emanuele: padri della patria che ha sentito evocare spesso in famiglia, perché ispirarono la scelta di un suo nonno materno, «che partì volontario, giovanissimo, in quell’esercito piemontese». Da quel movimento per la libertà italiana, «che non fu mai grettamente nazionalistico», nacquero gli ideali «che hanno trovato piena realizzazione nella Costituzione repubblicana». Sì, proprio la Carta del 1948, che «ha inserito i diritti fondamentali della persona e del cittadino quale fondamento giuridico della “res publica”…». «La prima parte della Costituzione», sillaba il capo dello Stato con il tono di chi lancia un monito, «è la definizione stessa di Repubblica, di un bene comune, di tutti e di ciascuno». Una sentenza che, accoppiata all’invito a riscoprire il tricolore come simbolo di una «libertà conquistata da un popolo che si sente unito», suona alla stregua di una pietra tombale sulle velleità di ritoccare, correggere e riscrivere quel testo anche nella sua prima parte. Ricordate? Fino a pochi anni fa proprio i leghisti, assieme ad altri aspiranti «ingegneri istituzionali» del Polo, ne parlavano con grande disinvoltura, propugnando una Costituente. Insomma: oggi il retropensiero di Ciampi pare sottintendere che il risanamento morale del Paese può passare attraverso qualsiasi «revisione», tranne quella.

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