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Dai Due Mondi a casa nostra

GARIBALDI BRESCIANO D’ELEZIONE

Venne nominato cittadino onorario di Brescia ed accolse l’offerta con una partecipazione che, conoscendo la schiettezza del nizzardo, fu forse minimamente – ma solo minimamente – artefatta dalla retorica della riconoscenza. Era il 15 aprile 1860. Garibaldi rispose senza esitazione che se «vi è una cittadinanza di cui possa onorarsi un individuo ed andarne suberbo essa è ben quella della città di Brescia». Menzionava i fatti del Quarantanove, le barricate. E la conoscenza diretta di questa gente, nel ’59. E la fede tricolore dei volontari che, proprio in quei giorni, maturavano l’adesione all’impresa segreta dei Mille.Era giunto dalle nostre parti nel 1859, appunto, indossando il colletto, che gli stava stretto, di generale dell’esercito sardo. Dopo aver occupato Bergamo, mandò in avanscoperta l’8 giugno, a Brescia, il tenente Pisoni. Il 12 giugno entrò a Palazzolo, quindi, con la velocità di un treno frenetico che dovesse sorpassare un gruppo di vecchi carri impantanati nella piana, tenne mano a destra, rasente al Montorfano, conducendo le proprie truppe poco sotto la collina, mentre gli austriaci, dall’altra parte del monte, beffati, se ne stavano accampati tra Chiari e Coccaglio.Entrò a Brescia alle 9 del 13 giugno per porta San Giovanni, più o meno nello stesso punto in cui oggi, sul solenne cavallo di bronzo, nella piazza a lui intitolata, osserva il traffico del ring, avendo di fronte a sé la cupola del Duomo che svetta sulle case. Dichiarò che l’accoglienza ricevuta dagli abitanti era «bresciana, cioè unica», quindi si defilò dalle parti di Sant’Eufemia e, come capita a chi sceglie la scomodità dell’eroismo, prese sonno su un tavolaccio di falegname. Poiché i movimenti delle truppe franco-piemontesi convergevano in direzione del Garda, il generale ricevette l’ordine di raggiungere Lonato, ché la strada, tra l’altro, era libera.Informazione priva di qualsiasi fondamento perchè Virle Treponti era tutto un biancheggiare austriaco. Fu scontro. La battaglia si protrasse dai primi, mattutini scambi di fuoco – che segnarono le 7,30 – alle due del pomeriggio, con gravi perdite. Poi il generale sostò a Paitone, raggiunse Gavardo, dove fece allestire, in breve, un nuovo ponte, poichè il precedente era stato distrutto dal nemico.Il 18 fu a Salò, accolto con il solito entusiasmo dalla folla. Poichè i suoi uomini trascinavano un paio di obici sottratti al nemico, Garibaldi pensò bene di indirizzarne le bocche contro un piroscafo nemico, ormeggiato alla distanza. La nave venne affondata. Al generale venne assegnato l’incarico di proteggere l’azione dello scontro principale, che si sarebbe svolto in pianura, coprendo le forze franco piemontesi alle spalle. Per questo, essendo giunta voce di truppe nemiche che premevano allo Stelvio, il 21 giugno – a ridosso del giorno di San Giovanni, il 24, in cui sarebbe avvenuta la battaglia campale di San Martino e Solferino – puntò a Nord. In quei giorni dovettero profilarsi problemi con lo Stato maggiore sabaudo. A Lovere si sfilò liberatoriamente le insegne del generale dell’esercito sardo, per indossare di nuovo il fazzoletto rosso. Dopo aver incontrato a Brescia il generale Lamarmora, e aver comunque ribadito, la propria lealtà nei confronti di Vittorio Emanuele II.Dieci mesi dopo era in Sicilia, con i Mille, impresa per la quale la Giunta bresciana aveva stanziato la somma di 110mila lire, mettendo a disposizione anche i tremila fucili della Guardia civica. Pure cinquanta sacerdoti avevano raccolto denaro per l’impresa, mentre il giornale «La Sentinella bresciana» mise a disposizione dell’eroe dei due mondi una spada.Il 1862 bresciano s’aprì per Garibaldi con numerosi inviti. Fu nella nostra provincia per inaugurare numerose società di tiro a segno, realtà che non si sviluppavano tanto per assecondare un’esigenza sportiva quanto per creare un serbatoio di volontari addestrati all’uso delle armi che, fino a quel momento, erano stati alla base delle fortune del generale, che cercava forze motivate dai principi ideali. Il programma delle inaugurazioni lo portò a Orzinuovi, poi a Chiari, Coccaglio e Rovato. Inaugurava e tesseva nuove trame. Il 13 aprile era di nuovo in città, all’albergo Italia, dove, chiamato dalla folla, si presentò al balcone: «È certo l’avvenimento più felice della mia vita trovarmi tra il popolo di Brescia – disse -. Popolo che merita da me tanta simpatia e tanto affetto come quanti amano l’Italia». Trascorse nel capoluogo alcuni giorni, intervenendo come spettatore, a concerti e a spettacoli al teatro Guillaume e al Grande. Il 14 raggiunse villa Facchi a Mompiano, della quale fu ospite fino al 17 giugno, giorno nel quale si trasferì a Rezzato, a Villa Fenaroli. Qui, ricordano le cronache, il nizzardo decise, per amor di patria, di sottoscrivere una petizione finalizzata all’eliminazione dalle mense di tutti i vini che non fossero tricolori.Particolare certo ininfluente per la grande storia, ma che risulta indizio del grande lavoro svolto da Garibaldi per infervorare gli animi a un altro nuovo obiettivo d’italianità estesa. Per quanto il fine fosse segreto, v’era consapavolezza che la presenza del generale nascondesse il progetto di una nuova impresa da portare a termine nel Trentino.Il 14 maggio 1862, per evitare pericolosi salti nel buio, furono arrestati il colonnello Francesco Nullo e Giuseppe Ambiveri, accusati di aver preparato una spedizione al di là del confine, verso Trento. I due vennero portati, con altri «partecipanti al complotto», a Sarnico, ma qui la folla chiese che i prigionieri fossero liberati. La truppa, per reazione, sparò sulla folla. A terra restarono quattro vittime e diversi feriti.Tutto, dopo la parentesi di sangue, venne rinviato al 1866, nel quadro della Terza guerra d’indipendenza. Quella volta Garibaldi giunse a Brescia la mattina del 17 giugno. Prese stanza all’albergo Italia e, nel pomeriggio del giorno successivo partì per Salò. L’obiettivo era il Trentino. In quelle ore, spostandosi con un biroccio, controllò come un viandante distratto le postazioni austriache a Ponte Caffaro.Poi iniziarono gli scontri. Sulle pendici del lago d’Idro, il generale venne ferito e ricoverato alla rocca d’Anfo.Il 9 agosto, mentre le truppe garibaldine si spingevano più a Nord, rispose con il celeberrimo «Obbedisco» all’ordine di ritirarsi dal Trentino. Una decisione amara. Garibaldi torna a Brescia. È pronto a diramare un duro messaggio all’Italia. ma con amarezza, recede. Scioglie il corpo dei volontari, rifiutando, a loro nome, ogni proposta di ricompensa.

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