La Nostra casa, il centro di accoglienza per disabili, compie 25 anni. Cinque storie «di fede e volontariato, ognuna ispiratrice di cose nuove» sono state raccolte nel libro. Le opere e i giorni, curato da Francesco Casali e don Bruno Pozzetti, ideatore e coordinatore della casa. Il libro sarà presentato oggi alle 20,30 nella sede della comunità, in località Palazzo a San Benedetto di Lugana.Giovanni nel 1975 ha 15 mesi, quando subisce un grave trauma cranico per una caduta in casa. A 17 anni, nel 1992, è il primo giovane a entrare nel centro educativo occupazionale diurno, che fino ad allora accoglieva persone più anziane.«Sentivamo il dovere di offrire il massimo impegno per la sua formazione, utilizzando al meglio il tempo della sua adolescenza… Possiamo dire che con Giovanni è nato il nostro attuale centro».Francesco, invece, «non parlava. Mai ne abbiamo capito il motivo, né i suoi genitori sono mai riusciti a scoprirlo, malgrado le moltissime visite e indagini mediche». Anche lui ha 17 anni nell’autunno 1992, quando comincia una nuova vita.«È riuscito a ottenere qualche cosa di veramente importante: ha trovato il linguaggio e la strada per un’integrazione nel mondo delle relazioni e del lavoro. Fu proprio l’incontro con Francesco che ci fece capire quanto fosse importante per disabili sensoriali o comunque con più lievi disabilità l’inserimento in ambito lavorativo da cui erano rimasti esclusi». Così nasce la cooperativa San Marco.Paola ha 16 anni quando viene operata di angioma cerebrale. La riabilitazione dovrebbe durare pochi mesi. Passano invece cinque anni. Arriva in comunità nel 1988 e con lei parte il centro socio-riabilitativo che accoglie persone divenute disabili in età adulta a seguito di lesioni cerebrali o trauma cranico. Paola ora guarda al futuro, a un possibile lavoro. Frequenta il centro e «di fatto, con alcune permanenze notturne settimanali, ha dato inizio alla Comunità residenziale che ci auguriamo possa presto svilupparsi».Agostino non dà sue notizie da tanto tempo. Oggi potrebbe avere 75 anni. «Un viso magro, per una vita che era stata di stenti, ma sempre sereno. Non gli abbiamo mai chiesto il cognome: si faceva chiamare Agostino di Dalmazia, sua regione di provenienza. Certamente conosceva il suo omonimo Sant’Agostino d’Ippona di cui aveva letto Le Confessioni. Il suo modo di vestire era sempre dignitoso. Non ha mai chiesto un soldo; non chiedeva da dormire perché le nostre case erano troppo belle. Se avessimo avuto una stalla…» Sono passati 15 anni dall’ultima volta in cui Agostino si è fatto vivo. Ma è anche pensando a lui è nato il centro di ascolto e di aiuto aperto ogni sabato e visitato dalle persone senza dimora che «ora sono veramente numerose. Spesso in ancor giovane età, dai 35 ai 45 anni, responsabili o vittime di separazioni familiari, spesso dedite al vino, attente magari ai pochi euro che possono strappare».Maria Rosa. «La sua storia coincide con quella della casa famiglia. È stata la prima». Maria Rosa frequentava già con altri disabili il centro diurno: l’11 dicembre 1992 una telefonata avvisa gli educatori di trattenerla, perché la madre era stata colpita da un ictus cerebrale. Morirà tre giorni dopo. «Ci fu poco tempo per riflettere. Il testamento chiedeva “una presenza affettuosa e accogliente accanto a Maria Rosa”. Mercoledì 20 gennaio 1993 Maria Rosa si fermò a dormire. La prima delle tante notti della casa famiglia di oggi».
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Oggi a San Benedetto di Lugana l’anniversario della comunità per disabili