lunedì, Aprile 29, 2024
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L’Istituto agrario Bonsignori di Remedello e l’Alberghiero di Desenzano uniti nel rilancio delle erbe spontanee. Dalla cicoria alla barba di frate, i tesori perduti della tradizione alimentare

Il «löertiss» salvato dai ragazzi

Mai assaggiato il «loertiss» con la frittata? Le insalate con le «cime de ranì»? E il lesso col «barbisì dei fràt»? Ormai ci vogliono i capelli bianchi e la memoria lunga per ricordare questi piatti poveri e popolari, dell’epoca in cui le erbe spontanee crescevano nei prati e finivano in tavola, come il più economico degli integratori alimentari. Ancora oggi, qua e là, si vedono uomini e donne di una certa età con la sporta e il coltello, chini a raccogliere la cicoria spontanea. Ma quanti giovani lo fanno? E quante aziende agricole sfruttano questi veri e propri doni della natura? Non è allora una brutta idea quella avuta da alcuni insegnanti dell’istituto agrario «Bonsignori» di Remedello, che hanno impegnato tre classi di studenti nella riscoperta di sette specie di piante spontanee, ormai sparite dalla dieta moderna. I ragazzi hanno studiato le erbe e hanno avviato una coltura sperimentale in un prato vicino alla scuola. L’anno prossimo inizieranno a coltivarle «sul serio», e magari anche a vendere il raccolto sul mercato (a ristoranti, fruttivendoli, laboratori di erboristeria) ricavando un piccolo gruzzolo da reinvestire nelle attività didattiche. L’autonomia scolastica è anche questo. «Gustosa iniziativa». Per accelerare il passaggio dall’orto alla tavola, il «Bonsignori» si è gemellato con l’Istituto alberghiero «Caterina De Medici» di Desenzano. Qui altri giovani, che stanno imparando l’arte culinaria, proveranno a perfezionare le antiche ricette a base di erbe spontanee, cercando di avvicinarle al più raffinato gusto moderno. Così, sviluppando il prodotto gastronomico, sarà favorito anche il «lancio» commerciale: ad esempio, si potrà proporre ai ristoranti un «pacchetto» comprensivo di ricette e materia prima. Questa è l’idea, per ora in fase sperimentale (ma il loertiss è già stato seminato). Alla fine dell’anno scolastico, gli alunni dei due istituti si incontreranno per un saggio finale (più che altro un «assaggio») e metteranno a punto i dettagli dell’operazione, per ripeterla l’anno prossimo su più vasta scala. Non solo cicoria. Ma quali sono le piante da rilanciare? Sono il luppolo (loertiss in dialetto: assomiglia all’asparago selvatico), la silène (o «erba del cucco»), la barba dei frati (o «barba de bèk», ottima lessata), la bardàna («cima de ranì»), il meliloto (o erba vetturina), la piantaggine («lengua de cà»), la portulacca (o porcellaga) e il tarassaco (il «piscialetto»: i boccioli messi sotto sale hanno il sapore del cappero). «Gustosa iniziativa», si direbbe, ma non solo. E del resto sono tanti i motivi per cui questo progetto merita successo. Perchè getta un «ponte» fra vecchie e nuove generazioni; perchè difende specie vegetali ormai rare in natura, stritolate dall’agricoltura intensiva e dall’avanzata del cemento; perchè rinnova tradizioni secolari eccetera. Agricoltura domani. L’aspetto formativo non è secondario in questa esperienza con le erbe spontanee. È un modo per proporre agli allievi del «Bonsignori», che saranno gli agricoltori del futuro, una lezione importante sull’utilizzo dei prodotti della terra. Tutto ciò che cresce (meglio ancora se spontanemente e senza «chimica») ha un valore e può garantire un reddito integrativo alle aziende agricole. Il «loertiss» può diventare un prodotto da vendere, garantire qualche soldo in più anche a chi, per dire, di base alleva mucche o coltiva soia. Il concetto è spiegato bene dal professor Marino Cottali, insegnante di botanica a Remedello, che ha promosso l’iniziativa con il professor Pedrini e con il direttore dell’alberghiero di Desenzano, Valter Mesar. «Sono piante che crescono spontanee e senza anticrittogamici, nei ritagli di prato a margine dei campi: non renderanno mai grossi guadagni, ma coltivarle costa niente. Tanto che hanno salvato dalla fame intere generazioni». Aggiunge il professore: «Il motivo per cui abbiamo proposto ai ragazzi questa riscoperta non è solo culturale e gastronomico, ma anche agronomico ed economico. Molti studenti del “Bonsignori”, un domani, diventeranno piccoli e medi imprenditori agricoli. Conoscere queste piante e il loro utilizzo potrà aiutarli, in futuro, a integrare non solo la dieta, ma anche i redditi».

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