venerdì, Settembre 29, 2023
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Il Torbiolino, che non è più mosto ma non è ancora vino

Ogni occa­sione era buona, nelle osterie del tem­po anda­to, per cat­turare la benev­olen­za degli avven­tori e sem­bra che queste “abi­tu­di­ni”, una vol­ta attec­chite e con risul­tati lam­pan­ti siano diven­tate oppor­tu­nità com­mer­ciali pri­ma e delle tradizioni poi.

Si ricor­di il Pir­lo, bres­cianis­si­mo, nato poco dopo la guer­ra, attorno agli anni cinquan­ta. Qui par­liamo di Tor­bioli­no, e cioè quel mosto che non è più mosto ma non è anco­ra e che la fret­ta degli Osti, e pure quel­la dei con­ta­di­ni ave­va fat­to diventare una occa­sione in più per fre­quentare l’Os­te­ria.

È ben noto che le osterie meglio col­lo­cate era­no quelle delle piazze e delle vie abbas­tan­za cen­trali e vicine alla chiesa, anche per­ché dopo le cer­i­monie, ma anche e spes­so “durante”, gli uomi­ni, las­ci­ate le con­sor­ti e le altre donne nei banchi del­la chiesa o avvi­ate al ritorno alle case per le con­suete fac­cende, si sede­vano attorno ai neri tavoli delle bet­tole per con­sumare il rito del bic­chiere di vino, fos­se esso bian­co o rosso poiché solo fra questi era la pos­si­bile scelta.

Va det­to che allo­ra il vino, ancorché la pro­duzione ed il con­sumo fos­sero ben più abbon­dan­ti rispet­to ad oggi, ver­so la sta­gione cal­da si inacidi­va e non era più facil­mente bevi­bile.

La pro­duzione di ace­to non abbisog­na­va altro che di quel­la mate­ria pri­ma e ne risul­ta­va quin­di una abbon­dante pro­duzione anche gelosa­mente effet­tua­ta nel seg­re­to delle can­tine di ognuno, con dis­pute, poi sul­la qual­ità del­la “madèr” che si anda­va ad affinare di anno in anno.

Agos­to, set­tem­bre, otto­bre, mesi di duro lavoro nei campi, il vino scar­so ed inacid­i­to non pote­vano portare che pochi avven­tori alle non rare osterie. Ma dopo la set­tem­b­ri­na il vino, pian piano sta­va dan­dosi vita nei tini delle cascine, così da ripren­dere fra i con­ta­di­ni vig­naioli e gli osti quel com­mer­cio che, gor­goglian­do nel bic­chiere. si sarebbe accom­pa­g­na­to al tintinnare delle mon­ete.

Anche i prover­bi inseg­nano che il vino dovrebbe essere pron­to per le gran­di feste di Dicem­bre, e per il talché si dice:

“a San Martì stopàl tò vì, a Nadàl cumin­cia a tastàl”

ma anche e però

“a San Martì töt èl most l’è vì”

che, anche se un pò tor­bido e leg­ger­mente dol­ci­as­tro, era bevi­bile nonché grade­v­ole.

Era una piacev­ole bevan­da che non era più mosto, non era però anco­ra vino, abbisog­na­va di mat­u­rare anco­ra e depositare, con travasi, il suo essere tor­bido, non acco­ra affi­na­to come si direbbe oggi. Però piace­va e come! Ed di con­seguen­za per­me­t­te­va di rias­coltare il tintin­nio delle mon­ete nelle osterie, quin­di, si sparge­va la voce per richia­mare la clien­tela.

Il 2 Novem­bre, il giorno dei Mor­ti, era ded­i­ca­to alla sua usci­ta “uffi­ciale”. Gli Osti, scal­tri ed atten­ti, favorivano l’as­sag­gio poiché ave­vano prepara­to, giorni pri­ma, piat­ti di bac­calà da servire gra­tuita­mente con quel “pri­mo vino”.

“L’Ostér l’è dré a batèr èl bacalà, pasan­dumà, finit le fun­siù, nom a béèr el Tur­biulì!”

L’Oste sta bat­ten­do il bac­calà, dopodomani, finite le fun­zioni, andi­amo a bere il Tor­bioli­no.

L’oc­ca­sione, del resto, era delle più propizie, data la con­sue­tu­dine che “obbli­ga­va”, in quel giorno, tut­ti a recar­si in Chiesa per le fun­zioni di quel­la ricor­ren­za che i Par­ro­ci ed i Pievani ave­vano ripetu­ta­mente e con costan­za ricorda­to ad ogni mes­sa. Era altret­tan­to con­sue­tu­dine però che gli uomi­ni, una vol­ta accom­pa­g­nate in Chiesa le loro donne che era­no le mogli, ma anche le madri e le sorelle; ne usci­vano qua­si subito per appog­gia­re i gomi­ti sul ban­co e sui tavoli delle osterie lì vicine.

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