giovedì, Novembre 7, 2024
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Il Torbiolino, che non è più mosto ma non è ancora vino

Ogni occasione era buona, nelle osterie del tempo andato, per catturare la benevolenza degli avventori e sembra che queste “abitudini”, una volta attecchite e con risultati lampanti siano diventate opportunità commerciali prima e delle tradizioni poi.

Si ricordi il Pirlo, brescianissimo, nato poco dopo la guerra, attorno agli anni cinquanta. Qui parliamo di Torbiolino, e cioè quel mosto che non è più mosto ma non è ancora vino e che la fretta degli Osti, e pure quella dei contadini aveva fatto diventare una occasione in più per frequentare l’Osteria.

È ben noto che le osterie meglio collocate erano quelle delle piazze e delle vie abbastanza centrali e vicine alla chiesa, anche perché dopo le cerimonie, ma anche e spesso “durante”, gli uomini, lasciate le consorti e le altre donne nei banchi della chiesa o avviate al ritorno alle case per le consuete faccende, si sedevano attorno ai neri tavoli delle bettole per consumare il rito del bicchiere di vino, fosse esso bianco o rosso poiché solo fra questi era la possibile scelta.

Va detto che allora il vino, ancorché la produzione ed il consumo fossero ben più abbondanti rispetto ad oggi, verso la stagione calda si inacidiva e non era più facilmente bevibile.

La produzione di aceto non abbisognava altro che di quella materia prima e ne risultava quindi una abbondante produzione anche gelosamente effettuata nel segreto delle cantine di ognuno, con dispute, poi sulla qualità della “madèr” che si andava ad affinare di anno in anno.

Agosto, settembre, ottobre, mesi di duro lavoro nei campi, il vino scarso ed inacidito non potevano portare che pochi avventori alle non rare osterie. Ma dopo la vendemmia settembrina il vino, pian piano stava dandosi vita nei tini delle cascine, così da riprendere fra i contadini vignaioli e gli osti quel commercio che, gorgogliando nel bicchiere. si sarebbe accompagnato al tintinnare delle monete.

Anche i proverbi insegnano che il vino dovrebbe essere pronto per le grandi feste di Dicembre, e per il Natale talché si dice:

“a San Martì stopàl tò vì, a Nadàl cumincia a tastàl”

ma anche e però

“a San Martì töt èl most l’è vì”

che, anche se un pò torbido e leggermente dolciastro, era bevibile nonché gradevole.

Era una piacevole bevanda che non era più mosto, non era però ancora vino, abbisognava di maturare ancora e depositare, con travasi, il suo essere torbido, non accora affinato come si direbbe oggi. Però piaceva e come! Ed di conseguenza permetteva di riascoltare il tintinnio delle monete nelle osterie, quindi, si spargeva la voce per richiamare la clientela.

Il 2 Novembre, il giorno dei Morti, era dedicato alla sua uscita “ufficiale”. Gli Osti, scaltri ed attenti, favorivano l’assaggio poiché avevano preparato, giorni prima, piatti di baccalà da servire gratuitamente con quel “primo vino”.

“L’Ostér l’è dré a batèr èl bacalà, pasandumà, finit le funsiù, nom a béèr el Turbiulì!”

L’Oste sta battendo il baccalà, dopodomani, finite le funzioni, andiamo a bere il Torbiolino.

L’occasione, del resto, era delle più propizie, data la consuetudine che “obbligava”, in quel giorno, tutti a recarsi in Chiesa per le funzioni di quella ricorrenza che i Parroci ed i Pievani avevano ripetutamente e con costanza ricordato ad ogni messa. Era altrettanto consuetudine però che gli uomini, una volta accompagnate in Chiesa le loro donne che erano le mogli, ma anche le madri e le sorelle; ne uscivano quasi subito per appoggiare i gomiti sul banco e sui tavoli delle osterie lì vicine.

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