giovedì, Maggio 2, 2024
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Il chirurgo Testoni spiega gli interventi effettuati. Alla Pederzoli sta bene il ragazzo al quale sono state riattaccate tre dita

In un anno 150 reimpianti per tornare a usare la mano

Sette ore e mezza di intervento per reimpiantare la metà delle tre dita – terza, quarta e quinta della mano sinistra ? tranciata di netto dallo «schiacciaciocchi» azionato inavvertitamente: la brutta avventura di Stefano, dodicenne di Cles (in provincia di Trento), è iniziata nel primo pomeriggio di venerdì, a casa sua, ed è approdata nella sala operatoria dell’unità funzionale di chirurgia della mano della Casa di cura Pederzoli. «Il cosiddetto spaccaciocchi è un attrezzo di uso pressoché domestico in Trentino, dove c’è l’abitudine a prepararsi la legna da ardere in casa», spiega Ruggero Testoni, primario dell’unità funzionale che ha eseguito il delicato intervento insieme ai colleghi Idebrando Fulco e Michele Trevisan. «La macchina è dotata di un cuneo che, una volta azionato, va a zero sulla base sottostante; questa volta, purtroppo, tra il cuneo e la base c’erano le tre dita di Stefano, che non hanno avuto scampo. Fortunatamente», aggiunge Testoni, «in Trentino esiste una certa cultura del primo soccorso nelle amputazioni: c’è stato chi si è preoccupato non solo di recuperare gli arti tranciati, ma anche di conservarli nel modo migliore; e questo ha costituito un vantaggio in più sia per noi operatori che, soprattutto, per il ragazzo». Le condizioni fisiche del giovane di Cles sono ottime e sta lentamente superando anche il grande shock iniziale; il primario dell’unità funzionale di chirurgia della mano conta di dimetterlo tra una decina di giorni. «Nel caso di reimpianto di dita, la degenza è di circa dieci, dodici giorni», spiega, «dopo di che segue una fase di medicazioni; se, come riteniamo, non sorgeranno problemi, tra un mese e mezzo Stefano potrà iniziare ad impugnare oggetti utilizzando tutte le sue dita della mano sinistra. Poi la riabilitazione farà il resto per arrivare al completo recupero della funzionalità dell’arto». La vicenda di Stefano si aggiunge alla consistente casistica di reimpianti di cui si rende protagonista l’unità funzionale della chirurgia della mano della Pederzoli. «Abbiamo iniziato cinque anni fa», ricorda il primario, «e già nel primo anno di attività abbiamo effettuato 60, 70 reimpianti; da allora siamo andati in continuo crescendo, sino ad arrivare ai 150 circa annuali di adesso, il che significa che effettuiamo almeno due, tre reimpianti alla settimana». Diverse le cause di queste amputazioni: dal Trentino, così come dalla Bassa veronese, perché vi si lavora molto il legno, arrivano traumi causati da spacciocchi ma anche accette e seghe circolari; dalla Lombardia, Mantova e Brescia in testa, provengono lesioni dovute soprattutto a incidenti sul lavoro oltre che stradali. Diversi sono i traumi causati dai petardi o fuochi d’artificio: sono sempre causa di interventi d’urgenza ma si tratta per lo più di lesioni complesse agli arti, che richiedono comunque ricostruzioni, ma si verificano per lo più solo nel periodo delle festività. Le vittime di questi traumi appartengono a tutte le fasce d’età e sono proprio le amputazioni alle dita quelle più ricorrenti; i pazienti che arrivano a Peschiera provengono non solo dal Veronese ma anche da Trentino, Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia. «D’altronde», sottolinea Testoni, «non ci sono molte unità dedicate come la nostra; nella nostra provincia ci siamo noi e Verona, poi occorre arrivare a Modena o Pordenone; Brescia, Mantova e il Trentino, tanto per fare alcuni esempi, non ne hanno. Il territorio da coprire è, quindi, molto vasto e noi, come altri centri, garantiamo una reperibilità continua». Non è facile, secondo il primario della chirurgia della mano della Pederzoli, stilare una casistica precisa sugli esiti a medio e lungo termine di questi interventi. «Quanto meno occorre distinguere due diverse fasi: il reimpianto e il recupero della funzionalità. Se per il reimpianto», precisa, «possiamo parlare di un 90 per cento di interventi con successo, diverso è l’aspetto della funzionalità dell’arto che è legata a molteplici fattori, sia soggettivi che oggettivi». «Tra questi ultimi riveste una straordinaria importanza la riabilitazione, che per noi è un momento molto delicato: da un lato, infatti», dice Testoni, «noi abbiamo bisogno di poterla iniziare il prima possibile; dall’altro, però, non si deve rovinare quanto è stato fatto con l’intervento. Quindi proprio la riabilitazione post interventi in urgenza richiederebbe, più di altre, il lavoro a stretto contatto di chirurgo e riabilitatore. Cosa che, purtroppo, è tutt’altro che frequente visto che non esistono molti centri specializzati in quest’ambito».

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