sabato, Luglio 27, 2024
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Una larga fetta di storia della comunità riflessa nelle sue montagne. Uscito il libro voluto da Italo Marchetti

La Sat ad Arco da 70 anni

«Arco e la Sat: settant’anni di storia» è un poderoso volume appena edito dalla sezione arcense, con testi di Giuliano Emanuelli, Davide Pivetti, Giancarla Tognoni e Romano Turrini, utilizzando gli archivi della Sat arcense, del comune di Arco, della famiglia Marchetti e 700 fotografie recuperate, oltrechè nei depositi istituzionali, nei cassetti privati di moltissimi satini che si sono sentiti coinvolti nell’operazione: a ragione, visto che Bruno Calzà, il presidente che ha consegnato il volume alla città, l’ha presentato come storia di arcensi: molti, se non proprio tutti.La prima e l’ultima delle tre parti in cui si struttura il volume, raccontano dei primi sessant’anni della Sat dalla fondazione nel 1872 alla nascita della sezione arcense nel 1932 e della famiglia Marchetti, le cui sorti sono intrecciatea filo doppio e triplo con le vicende della Sat e della città di Arco. Nella porzione centrale, scorrono i settant’anni annunciati dal titolo, dal 1932 al 2002, sulla scorta degli archivi sociali del sodalizio arcense: e di lì saltano fuori le mille storie minime che tramano la carta d’identità della città nel secolo scorso. Si parte dall’epoca in cui andar per monti era privilegio di pochi eletti, la maggioranza della gente essendo impegnata a strappare dalla terra (d’altro c’era quasi nulla) quanto serviva a sopravvivere: le malattie delle viti e dei bachi da seta significavano fame. Il progetto del rifugio Prospero Marchetti sullo Stivo è del 1904, la prima inaugurazione nel 1906, la seconda nel ’22 passata la buriana della guerra e passato il Trentino all’Italia. Gli escursionisti salgono in giacca e cravatta; molti hanno i pantaloni alla zuava, qualcuno veste le fasce fino al ginocchio. Nel secondo dopoguerra il rifugio rinasce: nel ’54 c’è una nuova inaugurazione dopo interventi per quasi 850.000 lire (sei letti sovrapposti con rete metallica costano 54.000 lire, per 480 lire i soci possono avere spezzatino con contorno, un caffè nero costa 70 lire ai non soci. Sono gli anni degli «orsi dello Stivo»: Tomaso Calzà, Gaspare Cassisa, Fabio Cazzolli, Antonio Lutteri, Renato Mandelli, Dario Moschen, Tarcisio Riccadonna, Janek Tyszkiewicz, giovani che s’affacciavano alla vita, senza soldi e pieni d’entusiasmo: erano lassù quasi ogni domenica, prima a piedi da Bolognano dopo una sosta alla capanna dell’Alpino (costruita nel ’32), in seguito cavalcando le prime moto fino a sant’Antonio. Nel ’63 un elicottero della Setaf di stanza a Verona portò in cima una cucina economica nuova. Per il senatore Spagnolli, all’epoca ministro delle Poste oltrechè presidente del Cai, Toni Lutteri imbandì una cena fantastica: il risultato fu l’installazione d’uno dei primi telefoni in dotazione ad un rifugio. La prima teleferica c’era dal ’55: andava col motore d’una Guzzi 500, per verricello si utilizzò il cavalletto d’una macchina da cucire per calzolai. Il gruppo speleologico s’affaccia nel 1926: c’è un contratto con cui il comune di Arco affitta alla Sat (di Riva, quella arcense non essendo ancor nata) per 100 anni, ad 1 lira annua, le grotte di Patone. Nel ’70 Renzo Ischia Gnochet ed Antonio Lutteri provarono ad arrivare sullo Stivo con una Giardinetta che prima d’arrendersi macinò sassi e polvere fin quasi alle malghe. Nel ’71 i soci tesserati erano 191, di cui 3 vitalizi: Fabio Calzà, Giuliano Emanuelli, Bruno Giuliani, Sergio Giuliani, Lorenzo Ischia, Mauro Ischia, Ugo Ischia, Gabriele Maino, Carlo Zamboni (un’altra generazione) fondarono il Gruppo rocciatori d’Alta Montagna che avrebbe poi espresso talenti come Denny Zampiccoli e Paolo Calzà Trota. Settecentocinquanta pagine è lungo il libro, fino al 2002 quando i soci sono diventati 832, Roberto Leonardi suona la fisarmonica in cima allo Stivo, apre la baita a Cargoni, Giancarlo Emanuelli dopo tre mandati passa il testimone a Bruno Piuma Calzà, la storia della Sat continua…

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