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L’Iva sulla civetta si chiamava toppa

Tasse, imposte, tributi, dazi. Un tempo, nei secoli passati, le tasse e i dazi erano forse maggiormente detestati di oggi. A Lazise di tributi locali, come li chiamiamo oggi, ce n’erano ben quattro: «dazio stradella», «del vivo», «del morto» e la «toppa». La più importante era sicuramente il dazio stradella. Era un tributo dovuto sul transito delle merci ed era imposto da un preciso ufficio: appunto l’importante ufficio dello stradellante. «Annesso alla Dogana di Lazise», scriveva Francesco Fontana parlando della dogana veneta, «esisteva un camerino nel quale era collocato lo stradellante, ossia colui che dirigeva questo importante officio. Ancora oggi nell’interno della Dogana in un angolo verso il porto esiste un camerino (siamo nel 1800), che probabilmente sarà stato quel medesimo impiegato allora per quell’uffizio». Nel proclama del capitano vice podestà di Verona, approvato dal Senato veneto l’8 maggio 1780, chiaramente si rilevano quali erano le incombenze. «Conte Mario Sovorgnan per la Repubblica di Venezia, capitano vice podestà di Verona e suo distretto. Per togliere e sradicare gli abusi, e gli defraudi che tutto giorno venivano infieriti a questo importante Dazio Stradella… che tutte le merci che si staccano da Lazise per le parti superiore debbano da quel Cedolaro del Dazio Stradella essere riconosciute in quantità e qualità con apposita visita in quella Dogana… comandiamo: perché si verifichi la medesima come sopra decretata, dovrà la Comunità di Lazise assegnare in dogana al Cedolaro del Dazio Stradella un ripostiglio vicino alla porta di detta dogana, acciò lo stradellante costruir vi debba un piccolo Camerino, onde possa il Cedolaro pro tempore essere tutto il giorno a portata di eseguire le proprie ispezioni. Dovrà sopra la porta della detta Dogana esservi a peso dello Stradellante posta una seconda chiave da essere custodita dal Cedolaro, a sicurezza dei diritti del Dazio per le merci che entrano ed escono dalla Dogana medesima salvo sempre per l’intro della Comunità il diritto della solita sua ezazione sopra le merci a titolo di Albergaria». «Il Comune di Lazise con solenne istromento approvato con Decreti del Senato Veneto in data 20 aprile 1718 fece l’aquisto dalla Repubblica di Venezia di tutti i dazi appartenenti al Comune», scrive ancora il farmacista e letterato Francesco Fontana nei suoi studi su Lazise, «cioè delle osterie, bettole, magazzini, beccherie bachi da seta, olio, pestrino, macina, ecc. più i dazietti del Vivo, del Morto e Toppa, per la complessiva somma di Ducati 6480. Non daremo senonché», continua il Fontana, «una breve spiegazione dei dazietti del Vivo, Morto e Toppa, non occorrendo per gli altri alcuna dilucidazione». Del Vivo: questo dazio comprendeva una tassa mite, che il Comune aveva il diritto di riscuotere sulle vendite che venivano fatte dei bovi, vacche, cavalli, muli, asini, pecore e civette non usati, quando gli aquisti venivano fatti soltanto dagli abitanti originari del paese. Del Morto: riguardava il diritto che aveva il Comune di riscuotere una tassa già fissata sulle vendite che venivano fatte a qualunque compratore del vino a botti, e degli animali porcini, pecore, bovi, morti. Toppa: comprendeva il diritto che aveva il Comune di esigere una tassa un po’ più gravosa sulle vendite di bovi, vacche, cavalli, muli, asini, pecore e civette non usati ad alcuni abitanti del paese, ma che non erano compresi nel numero degli originari. Ricapitolando quindi, il Comune poteva riscuotere dazi sul Vivo solamente dagli originari che vendevano degli animali cosiddetti domestici, mentre gli abitanti di Lazise non originari pagavano al Comune un dazio diverso, denominato Toppa. Eguale nella sostanza, ma diversa per importo e per tipo di abitante.

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