lunedì, Aprile 29, 2024
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Quando in via Piave si sentiva cantare il più grande soprano I vicini si arrampicavano sulle scale lungo il muro del parco ma anche Luchino Visconti, pur di ascoltarla, si offrì «come giardiniere». Maria Callas, gli anni a Villa Meneghini Dal 1949 al 1

Maria Callas: una Divina compaesana

Maria Callas cittadina zeviana. Non ad honorem: la Divina fu proprio compaesana, anche se nulla in paese lo testimonia. Statura 1.73, corporatura regolare, colorito scuro, capelli castani, fronte regolare, occhi castani, naso e bocca regolari… È la descrizione di Kalos Sofia Cecilia (il vero nome della cantante lirica) nella sua prima carta d’identità italiana. Il documento, datato 6 settembre 1949, porta la firma del sindaco zeviano Giuseppe Poletto. Dal settembre 1949 al giugno 1958 la cantante ebbe la residenza in via Piave 3 (ora la strada è intitolata a Giuseppina Meneghini, suocera della Callas), nella casa del marito Giovanni Battista Meneghini. Maria visse qui momenti felici. La sua carriera era al massimo e Zevio ebbe il privilegio di sentire echeggiare nelle sue strade la voce sopranile incomparabile: pur di udire cantare la Callas, il grande regista Luchino Visconti disse di essere disposto a venire «a farle da giardiniere». Lei era figlia di greci emigrati negli Stati Uniti. Parlava sette lingue, ma l’italiano con l’inflessione dialettale zeviana-veronese presa dal marito, quel Titta Meneghini industriale dei laterizi poi lasciato per Aristotele Onassis, l’armatore greco che la consacrò regina del jet set. Gloria, onori e oblio: la primadonna si lascerà morire a Parigi in solitudine, stroncata a soli 54 anni. Infarto, sembra, da impasticcamenti per lenire i dispiaceri di una vita non più scandita dai tranquilli ritmi zeviani. Era il 16 settembre 1977. Il suo corpo fu cremato, le ceneri disperse nell’Egeo. Maria Callas arrivò a Verona, povera, il 29 luglio 1947. Il direttore artistico dell’Arena, Giovanni Zenatello, l’aveva scritturata a New York per la Gioconda. Lei si era indebitata per varcare l’Atlantico su un mercantile russo. Il 30 giugno l’incontro con l’industriale Meneghini. Lui conduceva dodici fornaci di laterizi e aveva 52 anni; lei di anni ne aveva meno della metà, 24. «Quando la conobbi, cantava da sette anni e non era nessuno. Io la feci diventare prima al mondo», rivendica Meneghini nel libro Maria Callas mia moglie, scritto nel 1980 con la collaborazione del giornalista veronese Renzo Allegri. Meneghini morirà il 20 gennaio 1981 a 85 anni. Racconta Renzo Allegri, autore di tre libri sulla Callas: «Nel 1947 il facoltoso industriale viveva al ristorante Pedavena di Verona, in piazza Bra: era appassionato di lirica, della tavola e di donne in carne. La cantante di origine greca — petto vistoso, spalle forti, capelli neri, occhi profondi — era imponente con il suo quintale di peso. A tavola con amici, Meneghini invita Maria a Venezia. Lei tentenna perché non ha un vestito. In gita la cantante si confida: la madre litiga con il padre, lei deve arrangiarsi, Verona è l’ultima speranza di carriera. Meneghini decide d’aiutarla. L’inizio fu poco romantico, ma poi il rapporto tra i due fu sincero, rispettoso e d’autentica affettuosità. All’inizio era stato un capriccio maschilista di Meneghini: un’infatuazione fisica, sensuale, che volle soddisfare subito, usando i soldi. Dalla giovane Callas venne un’accondiscendenza interessata. Maria era triste, preoccupata. Nel 1945 aveva lasciato la Grecia come stella della lirica. Aveva studiato con la grande Elvira De Hidalgo. Alla fine della guerra era stata accusata di collaborazionismo per aver cantato per le truppe nemiche e fu cacciata. Era tornata in America, dov’era nata, ma in due anni non le riuscì di tenere un concerto. L’occasione offertale dall’Arena poteva essere la salvezza. Accettò un contratto capestro». Continua Allegri: «Meneghini era uno scapolo impenitente e ricco. Quando vedeva una donna che gli piaceva, si buttava. Si comportò così anche con la Callas: cominciò subito a corteggiarla e, pur di portarla in macchina, organizzò la gita a Venezia per tutta la compagnia. La sera, tornando, si fermò per strada e la baciò. Due giorni dopo, il 4 luglio, portò la Callas sul Garda per stipulare con lei un contratto che coinvolgeva affetti e affari: per sei mesi Meneghini avrebbe pensato a tutte le spese. Accordo da rivedere alla scadenza». «Maria non era un’ingenua», racconta ancora il giornalista veronese. «Capì che le conveniva e accettò. Nelle lettere che scrisse all’avvocato Bagarozzy, suo manager americano e spasimante, ironizzava su Meneghini». Allegri ricorda che il debutto areniano della Callas non ebbe particolare rilevanza, poi andò male un provino alla Scala. «Passata l’infatuazione, Meneghini cominciò a trascurare la Callas. Mentre Maria organizzava il ritorno in America, si fece vivo Tullio Serafin che l’aveva diretta nella Gioconda areniana, per offrirle la parte di Isotta nel Tristano a Venezia. Per Maria fu la salvezza: riscosse un successo strepitoso. Meneghini intuì d’avere per le mani un fenomeno e cambiò atteggiamento: divenne consigliere, protettore, innamorato, la trattò come una regina, la sposò». A Verona la storia Meneghini-Callas scatenò i commenti. Ostilità e pettegolezzi non fermarono il re del laterizio e la cantante: i due si sposarono nella chiesa di San Fermo, a Verona. Era il 21 aprile 1949. Per sposarsi, come scriverà Battista, l’industriale dovette abbandonare l’azienda di famiglia e battagliare in curia: la Callas era ortodossa. Ostacoli che sembrarono insormontabili, tanto che la coppia aveva programmato di sposarsi in municipio a Zevio. «Ci sposammo di pomeriggio in sacrestia alla presenza del parroco e di due testimoni; la cerimonia solenne ci fu negata perché Maria era ortodossa», scriverà ancora Meneghini. L’atto di matrimonio è custodito all’ufficio anagrafe di Zevio, dove l’industriale-pigmalione, nato a Ronco il 23 ottobre 1895, ebbe la residenza per 43 anni: dal novembre 1915 al giugno 1958. Il banchetto fu da Pia Meneghini, sorella di Giambattista, per sette anni amica, consigliera e accompagnatrice della Callas. Se sul palcoscenico la Callas era considerata una tigre, nella vita la donna era «una ragazzona romantica, buona», come spiega Allegri. E Meneghini, com’era? «Un uomo concreto con doti di manager. Aveva ereditato dal padre, morto giovane, un’azienda che consolidò e con la quale sistemò tutti i dieci tra fratelli e sorelle. Quando capì che Maria aveva doti eccezionali, la pose nella condizione di dare il meglio. I due formarono una perfetta macchina per il successo». «Il rapporto tra Maria e Battista fu bellissimo nonostante i 28 anni di differenza», aggiunge Michele Nocera, critico musicale e biografo della Callas. Nocera è assessore alla cultura di Sirmione, altro Comune in cui la coppia visse. «Maria amò Meneghini perché solo accanto a lui trovò la famiglia che non aveva mai avuto. La Callas veniva da un’infanzia difficile: la mamma parteggiava per la figlia maggiore, più magra e pianista. Per questo la Callas non l’amerà mai. Meneghini cercò di ricomporre i dissidi, inutilmente. Il periodo d’oro di Maria Callas dura dal 1949 al 1959», spiega ancora Nocera. «Quando lascia Meneghini, la cantante non studia più. Maria farà ancora cose buone come la Tosca e la Norma, ma la sua voce non sarà più al meglio». Tra il 1953 e il 1954 la Callas scese dal quintale a 65 chili. Era rimasta incantata dalla filiforme Audrey Hepburn. «Da balena a farfalla», scriverà Meneghini. Giornali e rotocalchi scrissero che la Callas aveva ingerito uova di tenia, il verme solitario che può arrivare a metri di lunghezza, con una coppa di champagne. Nell’intestino della cantante il parassita c’era davvero, rivelerà il commendatore, «perché Maria mangiava spesso carne cruda». Liberatasi della tenia, paradossalmente la Callas iniziò a perdere peso. Nocera esclude contemporaneità tra calo di voce e dimagrimento: «La Callas cantò benissimo per anni dopo essere divenuta un figurino grazie a un dietologo svizzero». Sul caso disse la sua anche Pia Meneghini: «Contro il parere di Titta e di mio marito, suo medico personale, Maria si sottopose a una pericolosissima cura praticata da medici svizzeri. Assunse dosi massicce di estratto secco tiroideo per accelerare le funzioni metaboliche, eliminando così il grasso superfluo in tempi brevissimi. Non solo: impaziente, Maria si fece iniettare iodio direttamente nella tiroide. Fu un trattamento d’urto che le regalò una linea invidiabile ma le alterò il matabolismo, rovinandole il sistema nervoso e danneggiandole la voce». Frattanto il menage familiare in casa Meneghini proseguiva all’insegna delle regole «prussiane» dettate dalla cantante. A ogni nuovo ruolo di repertorio, l’industriale regalava alla primadonna un gioiello. Proverbiale la miopia della Divina: al termine di un concerto alla Scala, il soprano raccolse sul palcoscenico un mazzo di ravanelli lanciato dal loggione credendolo un bouquet di fiori. Era invece una provocazione dai fan della rivale Renata Tebaldi. In scena la Callas non vedeva neppure la buca del suggeritore, né quando il mastro d’orchestra dava l’attacco, per cui mandava tutto sorprendentemente a memoria, sfuttando un formidabile intuito musicale. Si racconta che in gioventù la Divina avesse avuto come «maestro» un canarino, sul cui gorgheggio lei cercava di modulare la voce. Un giorno la bestiola cadde stordita per un sovracuto di Maria nella Lucia di Lammermoor. La primadonna incontra per la prima volta il miliardario Aristotile Onassis nel 1957, a Venezia; poi a Parigi nel 1958. Lo ignora. Sette mesi dopo la coppia Meneghini accetta l’invito galeotto sul panfilo Cristina. A bordo anche Winston Churchill e Gianni Agnelli. «Gente un po’ matta», annoterà Meneghini, «le donne e anche gli uomini prendevano il sole nudi e amoreggiavano davanti a tutti. Onassis mi sembrava un gorilla, tanto era peloso. Quando iniziò la tresca tra mia moglie e l’armatore greco, Maria si scatenò nel ballo e disse che dovevo smettere di essere la sua ombra». Qualche notte dopo una donna piomba sul letto di Battista disertato dalla Callas: è Tina, la moglie di Onassis. Confida a Titta che la Maria è tra le braccia del suo Ari. Il distacco definitivo è la sera del 19 agosto. Racconta il biografo Nocera: «Accompagnato dall’autista, Onassis arrivò a Desenzano ubriaco di whisky. Alla fine l’armatore si portò via la Callas dicendole, con una riduttiva allusione al lago: “Cosa ci fai, tu, in questa pozzanghera!” Al commendatore aveva offerto un assegno in bianco chiedendogli quanti miliardi volesse per la moglie. Meneghini gli strappò l’assegno sotto gli occhi». Nel 1968, colpo di scena: l’armatore greco, che alla Callas aveva regalato l’isola di Skorpio, sposa Jacqueline Kennedy, vedova del presidente assassinato a Dallas. «Fu un matrimonio politico: l’armatore voleva avere accesso alle compagnie petrolifere americane», ipotizza Nocera. «Lui comunque rimase innamorato della Callas; non si è mai capito perché non l’avesse sposata». Forse le cose sarebbero andate diversamente se nel 1966 fosse sopravissuto il figlio di Maria e Aristotele, Omero, nato a Milano. «Non si è mai saputo dove sia sepolto. Io», aggiunge il biografo, «ne ho negato la nascita per anni per poi ricredermi. Quand’era con Meneghini, Maria aveva fatto trattamenti contro la sterilità. Evidentemente ebbero effetti tardivi. La conferma del parto è venuta da Bruna, la governante della Callas, e dal fatto che tra novembre 1959 e luglio 1960 c’è un buco nelle esibizioni del soprano, abituata a cantare quasi tutte le sere». Intanto Meneghini, rimane solo e depresso nella villa sul Garda. «Lasciò per anni la porta aperta giorno e notte per consentire a Maria di tornare a qualsiasi ora», confida Nocera. Quando la grande cantante morì, Battista aveva appena subito un infarto. «Il medico dovette chiuderlo in camera per impedire che partisse per Parigi. Ci andò qualche tempo dopo quando Maria, da cui non aveva mai divorziato, già era stata cremata. Diversamente la Callas sarebbe sepolta a Sirmione, accanto a Meneghini: la legge francese consente al marito di disporre della salma della moglie». Villa Meneghini-Callas, nella stupenda penisola catulliana, è diventata un residence con 18 appartamenti. Dei bei tempi ha conservato solo l’aspetto esterno. Perché tutelato dalle Belle arti.

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