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In scena da venerdì 27 gennaio, alle ore 20.30, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, seconda opera in programma per la Stagione Lirica e di Balletto 2011-2012 della Fondazione Arena di Verona. Regia e scene di Franco Zeffirelli, sul podio il Maestro Julian Kovatchev. L’opera replica per 4 date: 29 e 31 gennaio, 2 e 5 febbraio 2012

Pagliacci nello storico allestimento di Franco Zeffirelli al Teatro Filarmonico di Verona

Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, nell’attesissimo allestimento del Maestro Franco  Zeffirelli, inaugura il 2012 per la Stagione Lirica 2011-2012 della Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico. Pagliacci torna sul palcoscenico del Teatro Filarmonico dopo 10 anni di assenza (dal 2002) per la magnifica messa in scena di Franco Zeffirelli, sul podio dell’Orchestra areniana l’apprezzato Julian Kovatchev, la direzione del Coro è affidata ad Armando Tasso. A Verona vedremo la terza versione di Pagliacci, ripresa dell’allestimento al Teatro Carlo Felice nel 2011 (la prima versione al Covent Garden negli anni Cinquanta e la seconda a Roma nel ’92).  Un’opera verista dalle forti implicazioni metateatrali – che, per restituirle la dignità che merita, viene presentata nella sua autonomia – calata sul finire dell’Ottocento  nell’ambiente violento di una Calabria arretrata e periferica. Della partitura di Leoncavallo, ispirata a un fatto di cronaca nera realmente accaduto, Zeffirelli ha aggiornato la lettura in una più stretta contemporaneità: «Pagliacci è un’opera verista che prende forza dall’ambiente in cui si svolge. Ho scelto una periferia del Sud, con motorini, officine e degrado». E così dall’ambientazione come da libretto «la scena ha luogo in Calabria presso Montalto, il giorno della festa di Mezzagosto, fra il 1865 e il 1870» il grande regista traspone la vicenda agli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso ma non per attualizzarla, come egli stesso spiega, ma per eseguirla nell’ambiente moderno e quasi contemporaneo che Leoncavallo aveva concepito.   I protagonisti vocali, che non cambiano nel corso delle cinque rappresentazioni, sono artisti ben noti ed apprezzati dal pubblico veronese, sia all’Arena che al Teatro Filarmonico: Amarilli Nizza nei panni di Nedda, Rubens Pellizzari quale Canio, Alberto Mastromarino nel ruolo di Tonio, mentre Paolo Antognetti e Devid Cecconi saranno rispettivamente Beppe e Silvio.   Per informazioni e prenotazioni Biglietteria del Teatro Filarmonico – via dei Mutilati 4/k, 37122 Verona tel. (+39) 045 8002880 – fax (+39) 045 8013266 Call center (+39) 045 8005151 – www.arena.it Orario di apertura dal lunedì al venerdì 9.00-12.00; 15.15–17.45; sabato 9.00–12.00; domenica chiuso. Nei giorni di spettacolo: tutti i giorni dalle 9.00 alle 12.00; dalle 15.15 fino ad inizio spettacolo. La domenica con spettacolo alle 15.30 l’apertura sarà alle 14.30. I lunedì successivi agli spettacoli domenicali la biglietteria rimane chiusa.         Prologo Viene al proscenio uno dei personaggi dell’opera, Tonio; indossa una maschera della commedia dell’arte, quella di Taddeo. Parla direttamente al pubblico, e si presenta come il Prologo; spiega che l’opera alla quale il pubblico assisterà mette in scena le antiche maschere, ma non per descrivere sentimenti falsi e convenzionali; al contrario, l’autore ha cercato di dipingere passioni vere: odio, amore, dolore, rabbia. Come gli spettatori, anche i personaggi sono infatti uomini in carne ed ossa. La maschera si rivolge poi ai colleghi, e dà il segnale per dare inizio alla rappresentazione.   Atto primo La scena è in un villaggio della Calabria, il giorno di Ferragosto. Atto primo. Sono le prime ore del pomeriggio; all’ingresso del villaggio la folla si accalca, festante; tutti vogliono godersi l’arrivo della compagnia di artisti girovaghi che terrà, quella sera, uno spettacolo. Fra le acclamazioni della gente arriva, tirata da un somarello, la carretta dei comici, tutti in abiti di scena; salutano così Pagliaccio (Canio, nella vita reale il capo della compagnia), Colombina (Nedda, sua moglie), Arlecchino (Peppe), Taddeo (Tonio). Battendo sulla grancassa, Canio riesce a far tacere la gente, e invita tutti ad assistere allo spettacolo, quella sera alle ventitré. C’è ancora qualche ora per riposarsi; Tonio, un uomo brutto e deforme, vorrebbe aiutare Nedda a scendere dalla carretta, ma Canio lo scaccia con violenza; non gradisce questo genere di attenzioni verso sua moglie. E quando qualche contadino fa delle allusioni scherzose sulle galanterie di Tonio verso Nedda, Canio diventa serio; il teatro e la vita, spiega, non sono la stessa cosa, e se sulla scena Pagliaccio è disposto a ridere delle infedeltà della consorte Colombina, nella realtà le reazioni di Canio sarebbero molto differenti. Poi si allontana con gli amici a bere un bicchiere, mentre i contadini seguono gli zampognari che, all’ora del vespro, si dirigono verso la chiesa. Rimasta sola, Nedda ripensa alle parole di Canio; dentro di sé aspira alla libertà, e non a caso si ferma a guardare gli uccelli che volano. Viene raggiunta però da Tonio; nonostante la sua deformità, l’uomo confessa di amare la ragazza, ma Nedda lo schernisce e lo respinge; quando Tonio cerca di baciarla, lo colpisce sul volto con la frusta. Invocando la Vergine di Ferragosto, Tonio, furioso, giura di vendicarsi. La donna è scossa dall’episodio, ma a confortarla arriva un’altra visita: è Silvio, un giovane del luogo che ha intrecciato con lei una relazione segreta. Silvio implora Nedda di abbandonare per sempre la sua vita girovaga, il marito violento e le aggressioni di Tonio, per fuggire con lui; la donna oppone una resistenza sempre più debole, e alla fine acconsente a seguirlo dopo la recita. La conversazione è stata però ascoltata segretamente da Tonio, che, compreso l’adulterio di Nedda, vede subito l’occasione per vendicarsi dell’oltraggio subito; corre così a chiamare Canio. I due ritornano furtivamente proprio in tempo per cogliere le parole dell’appuntamento fra i due amanti: “A stanotte, e per sempre sarò tua”. Furibondo, Canio si lancia all’inseguimento dell’ignoto giovane, mentre Tonio ghigna di fronte a Nedda, compiacendosi di quella vendetta. Ma Canio non è riuscito a raggiungere il fuggitivo; furibondo, tira fuori il coltello e cerca di farsi rivelare da Nedda il nome dell’amante; ma la donna tace. Peppe arriva appena in tempo per disarmare il padrone, e ricordargli che lo spettacolo sta per cominciare; occorre prepararsi in fretta. Anche Tonio suggerisce a Canio di prepararsi; la recita potrebbe essere proprio l’occasione per identificare l’amante di Nedda. Canio però è distrutto; come potrà recitare quella sera, con l’animo sconvolto? Eppure dovrà vestire la giubba di Pagliaccio, nascondere, dietro la maschera infarinata, i suoi sentimenti, e ridere sul suo amore infranto.   Atto secondo All’interno del teatro di fiera montato per la recita la folla si accalca per assistere allo spettacolo. Tonio batte la grancassa, Peppe aiuta le donne a prendere posto, Nedda raccoglie gli incassi; scorge Silvio, che si nasconde fra il pubblico. Finalmente lo spettacolo ha inizio; sul palcoscenico una misera scena dipinge una stanzetta. Colombina, impersonata da Nedda, aspetta il ritorno di Pagliaccio, suo marito. Da fuori arriva però il canto di una serenata: è Arlecchino (Peppe), l’amante con cui la donna ha appuntamento più tardi. Entra il goffo Taddeo (Tonio), porta a Colombina la spesa per la cena che la donna intende offrire ad Arlecchino; ma anche Tonio è invaghito della fanciulla, e le fa una comica dichiarazione. A scacciare con un calcio l’importuno arriva proprio Arlecchino; Tonio promette di vegliare sull’amore dei due giovani. Rimasti soli, Arlecchino e Colombina si scambiano effusioni consumando il pasto; l’uomo le dà un narcotico per addormentare Pagliaccio quella sera, e poi fuggire con lui. E’ curioso, ma in quella misera recita di saltimbanchi le antiche maschere recitano una situazione che somiglia straordinariamente a quella vissuta dagli stessi attori. E infatti, quando Tonio irrompe per avvertire gli amanti del ritorno di Pagliaccio, Colombina congeda Arlecchino con una frase già sentita: “A stanotte, e per sempre sarò tua”. Canio, nelle vesti di Pagliaccio, entra in scena giusto in tempo per sentire quella stessa frase che Nedda aveva già rivolto al suo ignoto amante. Nella mente dell’uomo la finzione e la verità si sovrappongono; chiede alla moglie il nome dell’amante. Nedda cerca di riportare la recita sui suoi binari, ma Canio non vuole sentirsi chiamare Pagliaccio; con commozione rivela a Nedda la sua disperazione e la sua vergogna, le rinfaccia di averla salvata, orfanella, dalla strada, le urla il suo disprezzo. Nedda risponde con orgoglio, e Canio torna a chiederle il nome dell’amante; a nulla servono i tentativi della donna di riprendere la recita. Il pubblico, d’altronde, partecipa con grande emozione a quell’insolito spettacolo; si spaventa solo quando vede Canio afferrare un coltello e inseguire Nedda; l’uomo chiede ancora una volta alla moglie di rivelare il nome segreto, poi la trafigge. Nessuno fa in tempo a fermarlo, nemmeno Silvio, che si fa largo fra la folla proprio mentre Nedda, agonizzante, invoca il suo aiuto. Si trova di fronte Canio, che comprende trattarsi del rivale, e lo trafigge. Nello sgomento generale, Canio si rivolge alla folla: “la commedia è finita”.   GENNAIO 2012 venerdì 27 gennaio, ore 20.30 Prima domenica 29 gennaio, ore 15.30 martedì 31 gennaio, ore 20.30  giovedì 2 febbraio, ore 20.30  domenica 5 febbraio, ore 15.30 fuori abbonamento   PAGLIACCI di Ruggero Leoncavallo   Direttore Julian Kovatchev Regia Franco Zeffirelli Regista assistente Stefano Trespidi Scene Franco Zeffirelli Scenografo collaboratore Carlo Centolavigna Costumi         Raimonda Gaetani     Personaggi e interpreti Nedda Amarilli Nizza Canio Rubens Pelizzari Tonio Alberto Mastromarino Beppe Paolo Antognetti Silvio Devid Cecconi   Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona Direttore del Coro Armando Tasso   Allestimento di Franco Zeffirelli Foto: “Per gentile concessione della Fondazione Arena di Verona”; “Foto Ennevi”  

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