sabato, Aprile 20, 2024
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Ricerca degli speleologi del Gasv con gli esperti del Wba, i primi rilievi risalgono al 1957. Sono in grotte a 1.800 metri e arretrano di 50 centimetri l’anno

Sos per i ghiacciai del Baldo

Le tropicalizzazione in corso sta mettendo a repentaglio anche la salute degli olivi, mentre il ghiaccio perenne che ancora giace nelle grotte del Baldo si sta ritirando al ritmo, velocissimo, di circa mezzo metro all’anno e questo dal 1957 ad oggi.L’allarme arriva da Gianfranco Caoduro, da 30 anni speleologo del Gasv (Gruppo attività speleologica veronese), e da Daniele Zanini, entrambi insegnanti di scienze naturali e membri della Wba, World biodiversity association, cioè associazione internazionale per la biodiversità. «Sul Baldo in alcune grotte esistono ancora ghiacciai perenni, che però con l’aumentare della temperatura si sono ritirati molto velocemente», attacca Caoduro, che in uno di questi anfratti nel 1984 scoprì «Osellasoma caoduroi» (nome dato dal professor Jean Paul Mauries del museo di storia naturale di Parigi), il millepiedi frigofilo (parola di origine greca che significa amante del freddo) molto diffuso nell’ambiente alpino durante l’espansione glaciale. Quando i ghiacci si ritirarono, trovò nelle grotte fredde d’alta quota il suo habitat naturale. Tra gli esempi più eclatanti di ghiacciai in ritirata Caoduro cita il Pozzo delle Buse, che si trova a nord del rifugio Fiori del Baldo, e il Bus delle Taccole, vicino al Telegrafo, entrambi nel territorio di Brenzone.«Sono grotte che si trovano a circa 1800 metri», spiega Caoduro, «la prima è un fusoide di circa 4 o 5 metri di diametro, che lo storico Gruppo grotte falchi perlustrò per la prima volta nel 1957, rilevando che il suo pavimento di ghiaccio era a 14 metri dall’entrata. Oggi, a soli 50 anni di distanza, il pavimento è a circa 45 metri di profondità e quindi ha perso almeno 30 metri di ghiaccio, quasi mezzo metro di ghiaccio all’anno». «Anche nel Bus delle Taccole, il cui ambiente interno è più ampio essendo profondo circa 170 metri», prosegue lo speleologo Caoduro, «abbiamo rilevato il medesimo fenomeno. Per noi speleologi lo scioglimento del ghiaccio è un evento interessante, dato che rende perlustrabili ambienti prima inaccessibili. Ma non è questo il punto. Uno scioglimento così rapido testimonia innanzitutto gli effetti dell’aumento della temperatura sulla terra, che a livello planetario si è alzata di mezzo grado in 30 anni».La temperatura di una grotta dipende da quella media annua dell’ingresso, «Piccole variazioni verso l’alto possono ripercuotersi sui microclimi interni». Di cambiamenti climatici la terra ne ha vissuti vari, ma questo sarebbe eccezionale: «In passato ci sono state alternanze climatiche ma non rapide come questa. È quindi molto probabile che ciò sia da imputare ad aumenti dell’anidride carbonica da noi immessi nell’aria, come del resto i modelli previsionali degli anni Settanta avevano indicato. Forse non erano solo semplici allarmismi di una filosofia catastrofista», commenta.Le conseguenze sono destinate a ripercuotersi anche sulla fauna cavernicola, che sul Baldo è molto particolare, dato che conserva relitti di organismi di epoca glaciale, come appunto l’Osellasoma caoduroi. «Questo millepiedi era molto diffuso durante l’espansione glaciale, quando 12, 13mila anni fa i ghiacci di vetta si ritirarono, si rifugiò dove essi tuttora permangono, trovando così il suo habitat anche nel Baldo. Di solito non si vedono animali vivere sul ghiaccio, ma questo si è specializzato e sopravvive a zero gradi, cibandosi probabilmente di detriti. È stato infatti individuato anche al Pozzo del Parol, a quota 1.600 sull’Altissimo, al Pozzo delle Buse, e a 2.300 metri di quota nel Bresciano. Se il giaccio continuerà a ritirarsi anche questo millepiedi potrebbe estinguersi».Chi non è esperto potrebbe anche non accorgersi della perdita di certa minuta ma preziosa biodiversità, certamente non passerà invece indolore l’arrivo di un animaletto che rischia di mettere a repentaglio la salute degli olivi del lago di Garda, costringendo ad usare insetticidi che potrebbero far scadere l’ottima qualità dell’olio prodotto sulla riviera. «La temperatura in aumento farà probabilmente aumentare l’areale della cosiddetta mosca dell’olivo, la Dacus oleae, che fino a poco tempo fa era presente solo negli oliveti più settentrionali», dice l’insegnante Daniele Zanini. La temperatura e il microclima del Garda non ne favorivano infatti lo sviluppo, per cui il nostro olio, prodotto senza uso di insetticidi, risultava di altissima qualità. «Ora questo insetto», prosegue la Zanini, «va a colpire insiemi di piante che ne erano immuni, la sua presenza è stata segnalata sia ad Albisano sia a Brenzone e si sta espandendo in altri oliveti che crescono tra i 300 e i 600 metri sulla costa occidentale. La mosca Dacus oleae rischia di espandersi anche a Garda, dove era già comparsa, ma in maniera solo parziale».

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