domenica, Ottobre 6, 2024
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Nel 1918 arrivarono i soldati della divisione cecoslovacca. Per loro addestramento, combattimenti, ma anche burattini. I volontari slavi costruirono l’arteria militare verso Brentonico battezzandola con il nome della loro capitale. Quattro di loro, cattur

Sul Baldo la strada per Praga

Dal 22 giugno al 13 agosto 1918 tra i prati e le malghe baldensi stazionò una divisione di soldati «tzcecoslovacchi», come si scriveva allora: due mesi in linea per i volontari (il fronte era poco più in là, all’Altissimo) nelle fila dell’esercito italiano impegnato a combattere la Grande Guerra, quella delle trincee e del filo spinato. Il nemico era anche per loro l’Austria, da cui questi irredentisti di due nazioni slave allora comprese nell’impero asburgico volevano conquistare l’indipendenza. Nei dintorni di Ferrara non arrivarono in pochi: 433 ufficiali (136 italiani e 297 cecoslovacchi), 12.096 soldati (659 italiani e 11.437 cecoslovacchi) e 1.619 animali. Nei mesi di campo nell’estate 1918, i cecoslovacchi eressero un monumento sul monte Struzzena, a ovest di Ferrara, in onore di cinque soldati piemontesi appartenenti al 14esimo reggimento di fanteria Pinerolo, caduti nella Prima guerra d’Indipendenza italiana il 2 giugno 1848. Fu il 34esimo reggimento, mentre era di riserva vicino a Ferrara, a trovare una tomba e una croce con sopra alcuni nomi ormai sbiaditi; subito il comandante ordinò di far erigere il monumento. Furono diverse le opere di fortificazione realizzate dalla divisione per il potenziamento delle difese, tra cui la strada che da Malga Canaletta va in direzione di Brentonico, sul pendio orientale del monte Altissimo. «La strada per Praga», come fu denominata dai cecoslovacchi venuti a combattere in Italia, ma pensando alla libertà della loro patria. La presenza militare cecoslovacca non passò inosservata. Era motivo di propaganda per sottolineare «la guerra santa delle nazionalità oppresse». Arrivarono in visita il comandante del 29esimo corpo d’armata, generale De Albertis, il comandante della prima armata, generale Pecori Giraldi, il comandante delle forze armate inglesi in Italia Ratcliff, il generale Bowes, addetto militare inglese al Consiglio nazionale cecoslovacco a Parigi, il capitano americano Fisher, capo del servizio sanitario dell’esercito cecoslovacco sul fronte italiano e francese, il ministro Berenini e il duca di Bergamo, il re d’Italia Vittorio Emanuele III e il generale Badoglio, vicecapo di stato maggiore dell’esercito italiano. A Ferrara e sul Baldo i soldati, divisi in quattro reggimenti, trascorsero due mesi di lavori, esercitazioni ma anche divertimenti. Il periodo montebaldino fu ricordato dagli stessi cecoslovacchi in un libro pubblicato a Praga nel 1927, in cui un capitolo dal titolo «Al Monte Baldo», tutto dedicato al campo in questa zona. Ufficiali e soldati semplici arrivarono nelle stazioni ferroviarie più vicine, Domegliara, Ceraino, Peri e Avio; quindi si distribuirono tra Spiazzi, Forte di Cimo Grande, Canalette, Bocca di Navene, Ferrara. «Il compito dei cecoslovacchi era di difendere a ogni costo il monte Baldo», si legge nel libro, tradotto in italiano in un opuscolo dall’amministrazione comunale di Ferrara, «nel caso in cui il nemico tentasse un attacco in questo settore. «Già dall’inizio si prevedeva che la divisione avrebbe avuto il compito di combattere in prima linea, perciò veniva addestrata anche nel servizio di trincea». Esercitazioni militari, scalate sulla roccia e addestramenti scandivano le giornate sul monte Baldo dei soldati cecoslovacchi. «L’aria era forte e inebriante», si legge ancora nelle memorie dei cecoslovacchi. «Era un paesaggio per poeti, paesaggio di una duplice effusione: dai sensi e dalla sensualità allo spirito individuale e alla sensibilità. Dava a questi uomini la possibilità di purificare il proprio spirito e allo stesso tempo costringeva all’armonia nell’organizzazione delle operazioni militari, solitamente dispotiche e intransigenti». I militari cecoslovacchi di stanza sul Baldo erano soliti leggere, cantare, recitare, giocare a calcio, organizzare feste commemorative, gare a premi e concerti. Alcuni di loro parteciparono anche ad alcune competizioni svoltesi a Roma: «Si inserisce anche un’altra vittoria conseguita non con le armi e il sangue, ma che ebbe un enorme significato di propaganda per il nostro movimento sul territorio italiano. È la vittoria dei nostri atleti del Sokol», membri dell’organizzazione sportiva ceca, «alle gare di ginnastica tra i Paesi alleati svoltesi allo stadio di Roma il 20 settembre 1918». Per l’intrattenimento delle truppe fu attivo anche il teatro delle marionette dei fratelli Kopecky (un teatrino mobile che si esibì più volte in Italia e in Slovacchia), con uno spettacolo a cui assistette anche il generale Graziani, il comandante italiano al cui nome è legata la strada militare, costruita appunto durante la Grande Guerra alle pendici del Baldo. «Era una novità per gli ufficiali italiani, tuttavia essi non ostacolarono questa attività poco militare, anzi presto familiarizzarono a tal punto con questa forma di divertimento da incoraggiare in ogni modo i burattinai». Amavano tutte le arti, questi militari slavi, dal teatro alla musica. Alcuni di loro si perfezionarono nel suonare qualche strumento musicale, eseguendo marce, arie d’opera e canzoni popolari; altri diedero ascolto invece alla loro capacità interpretativa dedicandosi al teatro e alla recitazione: «Vi erano però numerose difficoltà perché in montagna era difficile allestire un palcoscenico e i costanti impegni non lasciavano molto tempo per le prove. Pur tuttavia alcune volte si mise in scena un atto unico, provato ancora nel campo e con i costumi che alcuni dilettanti avevano portato da Padola». Alla fine però i due mesi di addestramento e riposo a Ferrara e sul Baldo finirono. La divisione dovette partire per il fronte e i costumi di scena andarono perduti. Alcune ricerche fatte dalle autorità cecoslovacche non portarono a buon frutto. Sembra che il materiale sia rimasto a Ferrara, da qualche parte nei dintorni del deposito del 33esimo reggimento. Ma come erano arrivati a Ferrara e sul Baldo questi militari? La sesta divisione cecoslovacca, formata dai reggimenti 31, 32, 33 e 34esimo, fu creata il 3 giugno 1918 a Perugia. Addestrata dal generale Andrea Graziani, che divenne poi comandante di tutto il gruppo, partecipò ai violenti scontri sul Piave e nel 1918 venne trasferita per due mesi sul monte Baldo per un momento di sosta e addestramento. Dopo la metà di agosto dello stesso anno fu stanziata con tutti i suoi uomini a cavallo del monte Altissimo: il comando si trovava a Spiazzi, ma le truppe si stabilirono a Doss Alto di Nago, dove a settembre ebbero il battesimo del fuoco. Dopo qualche scontro sporadico, la battaglia scoppiò cruenta il 21 settembre 1918, quando la divisione ebbe la meglio sugli austriaci, con la conquista del Doss Alto. Le vittime austriache furono numerose, mentre le perdite per i cecoslovacchi rimasero modeste. Ma sei soldati furono fatti prigionieri e l’esito fu tragico: sudditi imperial-regi, disertori dell’esercito austro-ungarico e passati a combattere con il nemico italiano, furono considerati traditori, come il trentino Cesare Battisti, e condannati a morte. «Un ufficiale si sparò pur di non essere catturato; solo il soldato più giovane tra i prigionieri, che aveva soltanto 17 anni, fu graziato», racconta oggi Silvino Miorelli, che ad Arco è in contatto da anni con alcuni parenti dei cecoslovacchi che militarono sul Monte Altissimo. «Gli altri quattro vennero impiccati il 22 settembre 1918 a Pradi, a nord del castello di Arco. Per uno di loro la corda si ruppe tre volte: le regole dell’impero prevedevano la grazia in casi simili, ma non ci fu pietà». I quattro si chiamavano Antonin Jezek, Karel Novacek, Jini Slegl e Vaclav Svoboda. Le loro ossa furono riportate a Praga nel 1929 e i loro nomi vengono ricordati ad Arco ogni anno la terza domenica di settembre. In particolare, i figli di due tenenti del 31esimo reggimento Alpini Arco, che tornarono a casa dopo la fine della guerra, sono diventati amici di Miorelli e frequentano spesso la località trentina. «La cerimonia fu molto partecipata soprattutto nel 2003, a 85 anni dalla battaglia del Doss Alto e dall’impiccagione dei quattro soldati», prosegue Miorelli. «Per i cecoslovacchi l’Altissimo corrisponde al Pasubio per gli italiani; ogni anno arrivano in molti per visitarlo». Dopo Doss Alto e i fatti di Arco la sesta Divisione fu nuovamente spostata, questa volta a Castelfranco Veneto, e prese parte agli ultimi scontri sul Piave prima della fine della guerra. I Caduti cecoslovacchi in quegli scontri furono in totale 291.

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