sabato, Maggio 4, 2024
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Le discese innevate di “Vancouver 2010” vedranno in azione il 19enne Manuel Pietropoli, snowboarder professionista di Lonato del Garda. L’Assessorato allo Sport del comune lonatese sostiene la sua impresa, che sarà trasmessa in diretta su Sky alle ore 22.10, il prossimo 17 febbraio.

Un lonatese alle olimpiadi

 Tutto è pronto a “Casa Italia” per seguire la XXI edizione dei Giochi olimpici invernali in Canada. Anche l’Assessorato allo Sport di Lonato del Garda, guidato da Ettore Prandini, sarà in prim fila per sostenere il “suo” atleta a Vancouver. Il lonatese Manuel Pietropoli, classe 1990, da circa un mese si trova in Canada. Il giovane snowboarder professionista ha sostenuto nei giorni scorsi un paio di gare “preparatorie” «per testare la sua forma fisica, in attesa del gran giorno». La sua gara sarà mercoledì 17 febbraio.  Tutta Lonato del Garda partecipa simbolicamente all’impresa di Manuel e sogna con lui.  Oggi Manuel è un atleta alle Olimpiadi. Domani spera di fare l’allenatore e regalare ad altri ragazzi le sue esperienze. Spiritoso e spigliato, è un giovane semplice e pieno di energia.  Nel 2009 ha partecipato a tutte le gare della Coppa del Mondo per riuscire a classificarsi a queste Olimpiadi invernali. Ha fatto la sua prima apparizione in un evento olimpico, a Torino 2006, a soli 16 anni: «Ero il più piccolo di tutti e un po’ lo sentivo», racconta l’atleta lonatese che non risparmia record all’altezza dei più leggendari snowboarder.  Tra un allenamento e l’altro, Manuel ha concesso questa intervista all’Assessorato allo Sport del suo comune.  – Cosa si prova a essere “dentro” le Olimpiadi?  «È un’emozione indescrivibile, il fatto di essere qui a competere per il risultato più importante nella carriera di un atleta… È proprio una bella soddisfazione!». – Più illusioni o certezze in “Vancouver 2010”?  «Spero di avere certezze. So di essere in ottima forma, ora, e il mio livello di riding è all’altezza per questa gara. Spero di azzeccare la giornata giusta, perché purtroppo si sa che, in questi sport, entrano in gioco mille fattori. Non è come stare su una moto che può andare veloce o meno». – Da dove si parte, per arrivare a saltare come te?  «Si parte da zero, come in ogni cosa. Con molti sforzi e tanto impegno si può arrivare dove sono io ora, e anche di più…». – Cosa si prova a volare così in alto?  «È un’emozione unica! Ogni volta che vai in alto, l’adrenalina aumenta in continuazione e, più lei sale, più tu sei motivato a superare i tuoi limiti». – Come ti alleni, solitamente?  «La maggior parte dei miei allenamenti sono proprio sulla neve. Comunque, quando sono a casa, vado a correre e faccio palestra per mantenere in allenamento il mio fisico». – Da snowboarder esperto: come ci si comporta in uno snowpark?  «Nelle strutture dedicate a noi snowboarder esistono delle regole da rispettare: la precedenza nell’entrata in halfpipe oppure i tempi d’attesa per fare un salto su una struttura appena utilizzata da un altro atleta, per esempio. Mai dimenticare le protezioni…». – La tua famiglia ti accompagna a Vancouver?  «Sì, mi raggiungeranno i miei familiari e la mia ragazza. Sono contento che vengano a vedermi, e sono felice che credano così tanto in me. Spero di fare un ottimo regalo di compleanno a mio papa, che compie gli anni proprio il giorno della mia gara». – Come Shaun White, anche tu hai sempre la famiglia accanto…  «Ho un bellissimo rapporto con la mia famiglia, che mi ha trasmesso la passione per lo snowboard e la montagna. Ai miei genitori non è mai pesato portarmi in giro per gare in tutti questi anni. Ma ora che sono maggiorenne mi piace saltare in auto con gli altri atleti e correre alle gare. Fuori dalla competizione siamo tutti amici: si parte insieme e si torna più amici di prima». – Quando hai iniziato a fare snowboard?  «All’età di due anni e mezzo già sciavo e, verso i sette anni, mio padre, appassionato di snow, mi ha messo sulla tavola: è stato amore a prima vista! A dieci anni, ho cominciato a fare le prime gare amatoriali: ero sempre circondato da ragazzini più grandi di me, eppure riuscivo a batterli! Ancora oggi, sono spesso tra gli atleti più giovani. Solo che ora i “ragazzini più grandi” sono i rider più forti al mondo, come Kevin Pearce, Risto Mattila e Anti Autti». – La tua prima tavola, te la ricordi?  «Sì, me la ricordo come fosse ora. Era più o meno lunga un metro, rossa, con disegnato sotto un coltellino svizzero, con attacchi hard e scarponi da sci. Mi ricordo bene quella tavola, perché mio papa aveva fatto una fatica assurda a trovarmi uno snowboard della mia misura, visto che allora non era uno sport così conosciuto». – Come passi il tuo tempo libero?  «Vado in giro, come un qualsiasi ragazzo della mia età. Con la morosa o con gli amici, a divertirmi in Cittadella a Lonato, tra partite a biliardo e pincanello». – Quali sono i tuoi progetti futuri?  «Sicuramente continuerò a fare l’atleta per molto tempo ancora. E, quando comincerò a mettere la testa a posto e pensare di più al rischio che c’è nel fare certi salti, allora cambierò mestiere… Vorrei tanto diventare un allenatore, prendere dei ragazzi e portarli in giro per il mondo ad allenarsi e fare gare, un po’ quello che sta facendo Roberto Moresi con me». – Raccontaci del tuo mister, l’allenatore della Nazionale.  «Il mitico Roberto Moresi mi ha insegnato la maggior parte dei trick (le evoluzioni tipiche di questo sport, ndr) che so fare ora. Mi segue in tutto: mi insegna la tecnica in ogni trick… e soprattutto mi ha insegnato a non arrendermi mai. Ogni volta che non riesco a chiudere una manovra mi dà la forza per continuare a provarla finché non sto in piedi».  – E la scuola come va?  «La scuola è un bel tasto dolente, purtroppo. Come titolo di studio ho la terza media. Mi sono iscritto all’Istituto Alberghiero di Desenzano ma già dall’inizio sapevo che non poteva funzionare. Infatti, sono sempre in giro per il mondo, tra allenamenti e gare, e 50 giorni di assenza per me non sono abbastanza. Ammetto anche di non essere mai stato un amante dei libri. Mi sono iscritto a una scuola privata d’inglese e ho fatto 4 anni di questa, visto che sono sempre in giro per il mondo e l’inglese è fondamentale per la mia professione».  

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