mercoledì, Dicembre 6, 2023
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Un salvataggio in extremis: Vittorio Emanuele III

A Peschiera del Gar­da, Vit­to­rio Emanuele III (1869–1947) si salvò (tem­po­ranea­mente)  il reg­no e anche la dinas­tia.

Era sal­i­to al trono nel 1900, succe­den­do al padre Umber­to I assas­si­na­to a Mon­za.

I fat­ti sono noti: quan­do il re Vit­to­rio Emanuele III con­vocò a Peschiera l’8 novem­bre 1917 gli alleati ingle­si e france­si, la situ­azione del­l’e­serci­to ital­iano era pres­soché dis­per­a­ta. Le forze nemiche ave­vano rot­to a Caporet­to e sta­vano scen­den­do per la pia­nu­ra vene­ta. I sol­dati ital­iani quan­do non si era­no arresi era­no in una riti­ra­ta dis­or­di­na­ta.

Il morale era bassis­si­mo. L’al­lo­ra gio­vane tenente Erwin Rom­mel che con i suoi ave­va con­quis­ta­to il monte Mata­jur alle Val­li del Nati­sone, rac­con­ta nelle sue mem­o­rie di guer­ra dei sol­dati ital­iani che abbrac­cia­vano i sol­dati tedeschi che li face­vano pri­gion­ieri. Il rip­ie­ga­men­to ital­iano si era trasfor­ma­to in una fuga dis­or­di­na­ta. La sola cosa fat­tibile era tentare di fer­mare le truppe degli Imperi cen­trali sulle rive di qual­cuno dei fiu­mi che dalle Alpi scen­dono ver­so l’Adri­ati­co nel­la pia­nu­ra vene­ta.

Nel con­veg­no di Peschiera, che si tene­va in quel­la che oggi è la Palazz­i­na Stor­i­ca, gli alleati,  il pre­mier inglese Lloyd George e Jan Smuts e il pri­mo min­istro francese Paul Painlevé e il min­istro Hen­ry Franklin-Bouil­lon avreb­bero volu­to sta­bilire una lin­ea di resisten­za all’Adi­ge o addirit­tura al Min­cio. Questo vol­e­va dire perdere Venezia e tut­to l’al­to Adri­ati­co con con­seguen­ze anche sul­la guer­ra sul mare, non solo ma per i Savoia, di fronte a un assai prob­a­bile dis­fat­ta e vol­e­va dire la scom­parsa del­la dinas­tia dal gov­er­no del­l’I­talia e forse la divi­sione del­la parte set­ten­tri­onale del­la peniso­la. Per queste ragioni il re si era incaponi­to su una dife­sa il più a ori­ente pos­si­bile che egli ipo­tiz­za­va al Piave.

Fu una delle sue mosse più azzec­ca­te e prob­a­bil­mente gli salvò il trono. Il vec­chio Franz Joseph, nei pochi anni che l’I­talia gli fu allea­ta, diede un giudizio azzec­ca­to su Vit­to­rio Emanuele III: per lui il gio­vane re era ecces­si­va­mente ambizioso.

I fat­ti dove­vano dar­gli ragione. La cam­pagna di Lib­ia (1911–1912) era sta­ta vin­ta a fat­i­ca, tut­tavia era sta­ta vin­ta. Forse ringal­luzzi­to da ques­ta vit­to­ria il re volle  cimen­ta­r­si nel­la guer­ra con­tro i già alleati imperi cen­trali in un con­flit­to che diede avvio alla dis­truzione del­l’Eu­ropa. Ques­ta la vinse per il rot­to del­la cuf­fia.

Geloso dei poteri dinas­ti­ci, accolse favorevol­mente il movi­men­to fascista che gli garan­ti­va ordine con­tro le istanze repub­bli­cane bolsce­viche del dopoguer­ra. Appog­giò la cam­pagna d’E­tiopia, anch’es­sa vin­ta non sen­za dif­fi­coltà e la “pre­sa” del­l’Al­ba­nia approf­ittan­do di dif­fi­coltà politiche locali.

Divenu­to re d’I­talia e d’Al­ba­nia, imper­a­tore  d’E­tiopia e tito­lare di un’al­tra trenti­na di vari titoli, non si oppose all’al­lean­za con la Ger­ma­nia nazista e all’en­tra­ta in guer­ra al suo fian­co, forse speran­do in una Blitzkrieg  di pochi mesi e in nuove con­quiste ter­ri­to­ri­ali.

I fat­ti andarono dif­fer­ente­mente: le nazioni del­l’asse Roma-Berli­no-Tokio persero la guer­ra; l’I­talia perse le colonie, i ter­ri­tori dal­mati che era­no sta­ti del­la glo­riosa Repub­bli­ca di Venezia e venne anche muti­la­ta di ampie par­ti di ter­ri­to­rio met­ro­pol­i­tano. Si era avver­a­to anco­ra una vol­ta il prover­bio vene­to “a usel  ingor­do ghe  crepa el goso” (a uccel­lo ingor­do scop­pia il goz­zo).

Asso­lu­ta­mente  inglo­rioso il suo cre­pus­co­lo, con la fuga a Brin­disi, la con­seg­na in mano agli Alleati anglo-amer­i­cani e l’ab­di­cazione. I quali alleati lo ringraziarono per il voltafac­cia del­l’ul­ti­mo momen­to a loro favore orga­niz­zan­dogli con­tro il ref­er­en­dum Monar­chia-Repub­bli­ca, ampia­mente truc­ca­to, che pose fine ai sog­ni dinas­ti­ci dei Savoia. Morì in esilio in Egit­to.

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