sabato, Maggio 4, 2024
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Il primo libro che racconta l’Opg con gli occhi e il vissuto di un’operatrice

Presentato a Castiglione delle Stiviere “Passi bianchi e silenziosi”

Anita Ledinski e la giornalista Francesca Gardenato, con uno stile scorrevole e semplice, in “Passi bianchi e silenziosi” (Editoriale Sometti, 230 pagine, 13 euro), hanno unito le forze e reso attraverso un’irresistibile prosa la storia di Anita, operatrice sociosanitaria dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Castiglione delle Stiviere.Nella loro prosa fanno rivivere al lettore «i tanti e agghiaccianti racconti di alcune pazienti del reparto Arcobaleno del Opg, dove ottanta donne, autrici di crimini atroci, come figlicidio o neonaticidio, ricevono intensa terapia psicosociale, dacché malate di diverse forme psicotiche alla base dei loro inumani delitti. Ci presentano alcune delle pazienti , donne di diverse età e accomunate da simili storie dolorose, con tanto umano sentire, che leggendo le parole della protagonista del racconto ci sembra di vederle, ansiose e sofferenti». Così si legge nella prefazione dello psichiatra George Palermo, autore di innumerevoli e prestigiose pubblicazioni, anche noto per la sua perizia di Jeffrey Dahmer, il famoso “mostro di Milwaukee”.Il libro contiene anche la prefazione dello psichiatra Giovanni Rossi e la postfazione dell’ex direttore sanitario dell’Opg di Castiglione delle Stiviere Antonino Calogero.“Passi bianchi e silenziosi” sarà presentato, dopo Castiglione a Desenzano del Garda: sabato 1 dicembre alle 17 presso l’Agriturismo “Le Preseglie” di San Martino della Battaglia (alla rotonda della torre, in direzione Pozzolengo) e a Lonato del Garda: venerdì 14 dicembre alle 20.45 in Sala Celesti, al primo piano del municipio, con il patrocinio dell’Assessorato ai Servizi sociali.Anita, donna forte e di origine croata, è la protagonista del racconto, il filo conduttore tra i “personaggi” di una storia quotidiana, che si consuma da anni oltre i cancelli dell’istituto psichiatrico giudiziario in località Ghisiola. Con lei entriamo nel reparto femminile Arcobaleno, l’unico in Italia, e siamo circondati da malate di mente e operatori e infermieri con compiti delicati e particolari. Ci sono, come evidenzia lo psichiatra Giovanni Rossi nella prefazione «donne che cercano e trovano solidarietà chiuse entro esperienze drammatiche e, soprattutto, definitive».Il testo «scandito dai turni di lavoro di un’operatrice e arricchito da una serie di interventi diretti, contiene anche alcuni inserti frutto della fantasia e qualche informazione storica e tecnica sull’istituto, introdotti al fine di rendere da un lato più piacevole e coinvolgente la lettura, dall’altro di completare la panoramica di questo luogo che accoglie e cura persone affette dalla malattia mentale. Persone, non mostri» sottolinea Francesca Gardenato, giornalista che ha scritto al fianco della protagonista, ha raccolto il suo vissuto e curato le testimonianze e l’editing del libro pubblicato da Sometti.C’è un universo femminile in questo lavoro. Ma “Passi bianchi e silenziosi” vuole anche essere una sorta di “ultimo atto” prima della chiusura o della riconversione degli ex manicomi criminali in “micro comunità”. Dal 31 marzo 2013 si prevede infatti che “le misure di sicurezza saranno eseguite esclusivamente nelle nuove strutture sanitarie. Le persone non più ritenute socialmente pericolose dovranno invece essere dimesse e prese in carico, sul territorio, dai dipartimenti di salute mentale”. Anche l’Opg di Castiglione andrà incontro alla “rivoluzione” prevista dalla legge. Intanto, fino a oggi, gli Opg hanno funzionato, alcuni più altri meno.Allora: cosa significa lavorare in un Ospedale psichiatrico giudiziario, quello che un tempo era chiamato manicomio criminale? Come si può affrontare il quotidiano e delicato confronto con ottanta donne, colpevoli di crimini atroci, percorse da profondi disagi psichici che le hanno trasfigurate fino a spingerle oltre l’immaginabile e a scagliarsi contro i loro stessi affetti?Il libro risponde proprio a queste domande. Anita Ledinski, operatrice sociosanitaria (oss), da quasi otto anni trascorre le sue giornate fra le pazienti dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, nel Mantovano. Con l’aiuto e la penna della giornalista Francesca Gardenato, prova a spiegarci cosa significhi assistere persone malate di mente. È un racconto avvincente, che racchiude altre storie: la narrazione presenta varie situazioni di reparto, tutte vissute in prima persona, le sensazioni e le difficoltà personali, ma anche le esperienze e gli stati d’animo di pazienti e colleghi operatori. Anita svela tormenti, dubbi, emozioni e vicissitudini che quotidianamente deve affrontare in questo luogo di malattia e di cura. Descrive anche il rapporto di fiducia simbiotico che si crea fra chi deve condividere la maggior parte della propria esistenza tra le mura dell’Opg e chi può alleviare la sofferenza.GLI INTERVENTIFrancesca Gardenato: «L’Opg è senza dubbio una realtà molto diversa da come s’immagina un luogo di reclusione: senza sbarre alle finestre né guardie carcerarie né filo spinato. Oltrepassata l’esteriorità, dentro, il senso di privazione della libertà si avverte nei volti spenti, nell’indolenza dei movimenti, negli spazi ristretti di una condivisione forzata, di una quotidianità mesta, in cui si cura la malattia mentale. Che ai giorni nostri, purtroppo, può essere ancora una piaga sociale. Ma la vera differenza con la prigione è che in questo luogo chi entra può compiere un percorso di riabilitazione e sperare di ricominciare. Nelle domande che s’inseguono lungo i corridoi si avverte la noia di vivere, mentre le interminabili attese sotto i caloriferi e la voglia di uscire anche solo per buttare la spazzatura premono sui corpi morbidi e lenti delle pazienti ricoverate nel reparto Arcobaleno. Dietro di loro ci sono i camici chiari, ai quali s’aggrappano per trovare conforto. Ecco i passi bianchi, silenziosi poiché a lungo ignorati dai mass media. All’Opg sono entrata più volte, ho raccolto informazioni utili per la scrittura e soprattutto ho incontrato operatori sociosanitari, operatori tecnici e infermieri perennemente a contatto con la sofferenza, di giorno e di notte, nei loro turni. Ciascun “personaggio” è entrato con la propria testimonianza umana e professionale, nella cornice del nostro racconto, ognuno con i suoi diversi “passi”. Per me è stata un’esperienza forte ma arricchente, prima come donna, poi come giornalista e scrittrice».Anita Ledinski: «Da quando sono diventata operatrice sociosanitaria, oss, non ho mai voluto lavorare in un ospedale qualsiasi. Ho aspettato, ho fatto altri lavori, ho desiderato questo posto finché è arrivato il mio momento e sono entrata, nel settembre del 2005, con regolare bando di concorso, assunta all’Opg in località Ghisiola. Dove tutt’oggi lavoro. Quando ho avuto l’opportunità di conoscere questo ospedale dall’interno, è iniziata per me la fase professionale più gratificante della mia vita.Dopo quasi otto anni, non volevo raccontare l’Opg attraverso le solite storie strappalacrime o le fredde dichiarazioni da bollettino medico. Desideravo fotografare la realtà, ciò che vedo e tocco ogni giorno. Far conoscere al mondo esterno l’importanza di questa struttura di sicurezza e soprattutto di guarigione, ricordare le numerose storie che accoglie, tra cui quelle di persone sole e disagiate che altrimenti non riceverebbero adeguata assistenza e non avrebbero neppure un posto dove stare. Ci sono vite che, fuori di qui, non avrebbero alcun valore. Lo scrivo a malincuore, ma lo sento: la società non è pronta ad accoglierle».

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