sabato, Settembre 30, 2023
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Garda, l’isola che profuma di memoria e buganvillee

Sono già iniziate a fine mag­gio le vis­ite all’ il mart­edì e il giovedì con parten­ze dal por­tic­ci­o­lo di Bar­bara­no alle 9.30 (cos­to 27 euro), ma sarà da domani che la esten­derà il servizio da Gar­da il lunedì alle 10.40 e da Sirmione alle 14.40, men­tre il mer­coledì saran­no effet­tuati col­lega­men­ti da Portese alle 10.05 e da Salò alle 10.17. I tur­isti potran­no così vis­itare uno dei luoghi più sug­ges­tivi e ric­chi di sto­ria del ter­ri­to­rio benacense.L’isola già nel­l’Ot­to­cen­to era con­sid­er­a­ta una zona nat­u­ral­is­ti­ca di grande inter­esse e si può affer­mare che nul­la sia muta­to in qua­si due sec­oli: il bosco mediter­ra­neo, i gia­r­di­ni all’i­tal­iana, i fiori, soprat­tut­to buganvillee, for­mano uno sce­nario di rara bellezza.I lasc­i­ti del­la sto­ria sono, invece, più nelle mem­o­rie che nei mon­u­men­ti. Car­loman­no, con diplo­ma dell’879 fece dono del­l’iso­la ai monaci di San Zeno di Verona. Fed­eri­co Bar­barossa nel 1180 la diede in feu­do agli ante­nati di Biemi­no da Maner­ba il quale, sec­on­do la tradizione, la regalò a San Francesco che vi avrebbe fonda­to il ceno­bio nel 1221; per questo fu nota anche come Iso­la dei frati. All’e­poca i romitag­gi frances­cani era­no sem­pli­ci luoghi di vita asceti­ca: grotte, capanne, povere dimore. Furono comunque i pri­mi frances­cani a intro­durre la colti­vazione degli agru­mi e di altre piante diven­tate tipiche non solo del­l’iso­la, ma di tut­ta la riv­iera gardesana.Nel 1224 Fed­eri­co Bar­barossa, dopo aver vis­i­ta­to il romi­to­rio con il Vesco­vo di Tren­to, lo prese sot­to la sua pro­tezione, e con­cesse ai monaci la licen­za di pesca su tut­to il lago. Tre anni dopo vi approdò san­t’An­to­nio da Pado­va, min­istro gen­erale del­l’Or­dine. Sarebbe sta­to tut­tavia San Bernardi­no da Siena, giun­tovi per la pri­ma vol­ta nel 1422, a pro­muo­vere la real­iz­zazione del con­ven­to. Lo stes­so san­to ne avrebbe trac­cia­to il dis­eg­no in stile frances­cano: cel­lette con finestrelle gotiche e pic­coli chiostri a gia­rdi­no. Fu poi ried­i­fi­ca­to e amplia­to dai reli­giosi nel 1438.Padre Francesco Licheto (del­la famiglia Lechi di Bres­cia), ded­i­to agli stu­di del pen­siero di Duns Sco­to, vi isti­tuì attorno al 1470 una famosa scuo­la di teolo­gia e di filosofia. Il com­men­to del Licheto fu stam­pa­to da Pagani­no dei Pagani­ni, chiam­a­to da Venezia, che instal­lò sul­l’iso­la la sua offic­i­na tipografi­ca; si ebbero così, nel 1517, i pri­mi due lib­ri edi­ti nel ter­ri­to­rio gardesano.Il let­ter­a­to salo­di­ano Sil­van Cat­ta­neo (XVI sec­o­lo) las­ciò ricor­do del ceno­bio cinque­cen­tesco «acco­moda­to tal­mente nel sas­so vivo di stanze comodis­sime ed ono­rate di claus­tri e di log­gie e gia­r­di­ni quan­to monas­te­rio altro sia in Italia, aven­do riguar­do alla pic­ci­olez­za del sito».Sull’isola si riti­rarono Giano Fregoso, gen­erale veneziano nel 1510 e doge di Gen­o­va nel 1512, e suo figlio Alessan­dro. Nel Sei­cen­to iniz­iò la deca­den­za del con­ven­to e nel 1795 il Gov­er­no vene­to ne decise la sop­pres­sione. L’ul­ti­mo padre guardiano, Bonaven­tu­ra di Casal­loro, fu costret­to a chi­ud­er­lo e ad abban­donare l’isola.I decreti napoleoni­ci del 1798 la req­ui­sirono; la Repub­bli­ca Cisalpina la vendette nel 1800. Nel 1817 divenne pro­pri­età del bres­ciano con­te Lui­gi Lechi che vi pro­fuse entu­si­as­mo e mezzi nel recu­pero del­la veg­e­tazione e del­l’an­ti­co con­ven­to riat­ta­to ad abitazione. In essa vi ospitò illus­tri per­son­ag­gi, fra cui i musicisti Rossi­ni e Donizetti, i let­terati Pin­de­monte e Ari­ci, gli artisti Basilet­ti e Vantini.Dopo altri pas­sag­gi di pro­pri­età, sorse dal 1900 al 1903 sul­la dimo­ra Lechi il nuo­vo palaz­zo di stile neogoti­co veneziano, che anco­ra si ammi­ra, volu­to dal duca Gae­tano De Fer­rari di Gen­o­va e da sua moglie, l’ar­ciduches­sa rus­sa Anna Maria Annenkoff. Fu prog­et­ta­to dal­l’ar­chitet­to gen­ovese Lui­gi Rov­el­li e la nuo­va fab­bri­ca can­cel­lò defin­i­ti­va­mente il ricor­do del­l’an­ti­co monas­tero.

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