lunedì, Ottobre 7, 2024
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Il progetto gardesano di introduzione alla vela per i non vedenti fa proseliti. Un successo la presenza alle Paraolimpiadi in Grecia

Homerus, scuola di vita

Le persone abili e diversamente abili devono poter vivere sullo stesso piano, anche nello sport. E’ questo il messaggio che Homerus, l’associazione gardesana attiva da tempo nel campo della promozione della vela tra i non vedenti, ripropone con azioni concrete. E le recenti Paraolimpiadi di Atene hanno fornito un nuovo spunto per affermare questo principio, basato sull’uguaglianza tra gli atleti pur nella differenza che la natura ha stabilito. E così, dopo la conclusione dei giochi in Grecia sul lago di Garda (l’associazione è nata qui) tirano le somme di un’esperienza che ha visto la presenza ad Atene di una delegazione di Homerus composta da cinque velisti ciechi: Francesco Alborghetti, Luigi Bertanza, Giovanni Bosio, Diego Chiapello ed Enrico Sosio. A dare sostegno alla squadra c’erano il presidente-fondatore del sodalizio, Alessandro Gaoso (ex campione di vela), il vicepresidente Giulio Comboni e il volontario Claudio Valle. Gaoso ha ricordato che «gli equipaggi di Homerus era partiti per la Grecia per offrire una dimostrazione delle capacità veliche raggiunte dagli atleti non vedenti. Si volevano anche coinvolgere velisti nonvedenti di quel Paese e di altre nazionalità, insieme ai membri del comitato organizzatore delle Paraolimpiadi, con un obiettivo preciso: vorremmo che la disciplina che abbiamo inventato venga inserita nel calendario delle Paraolimpiadi del 2008, a Pechino». Per i gardesani, quello ateniese è stato un autentico successo di immagine, considerati i numerosi incontri con le autorità e con gli sportivi greci: concerti, cene, incontri con la stampa, ma soprattutto allenamenti e un confronto con Ioannis Pontikis, presidente della Federazione nazionale greca dei ciechi. E Gaoso ha voluto ricordare alcuni passaggi dell’intervento di Pontikis; affermazioni nella direzione di quanto il campione gardesano sostiene da tempo, cioè che le Olimpiadi devono fornire le medesima opportunità a tutti, disabili compresi, studiando opportune regole da applicare. «L’evento della Paraolimpiade con la sua forma odierna non onora la società e non porta avanti la battaglia per la nostra integrazione sociale – ha detto Pontikis – poiché i disabili non appartengono a un altro mondo. Tentiamo, combattendo contro tante difficoltà, di competere nello sport in una comune organizzazione dove questo è possibile, celebrando lo sforzo e la partecipazione. Perfino il termine Paraolimpiade sembra qualcosa di diverso: mostra un certo razzismo, condannabile. Oggi, intanto, dimostriamo che con le nuove tecnologie i non vedenti riescono a orientarsi sul mare e a navigare da soli; a essere autonomi in questo difficile, ma bellissimo sport».

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