lunedì, Aprile 29, 2024
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Aga Hruska figlio di una famiglia famosa sul lago di Garda racconta le confidenze di un amico milanese incaricato nel dopoguerra di investire le ricchezze sequestrate al Duce a Dongo Libro di memorie racconta un’altra verità sul bottino

Il giallo del tesoro di Mussolini

L’oro di Dongo è una storia ricca di misteri senza fine. Dopo «gli inviti» della sensitiva Maria Rosa Busi a cercare nel giardini del Vittoriale, ora viene alla luce un’altra versione sul tesoro di Mussolini. Dalla testimonianza di un dentista di casa sul lago di Garda, Aga Hruska, si viene a sapere che il tesoro del Duce venne trovato dai partigiani a Dongo, sullo stesso camion sul quale si trovava il capo della Rsi in fuga versa la Svizzera. Aga Hruska raccontò come venne informato della storia del tesoro alle pagine 222?224 dell’autobiografia «Memorie segrete del dentista di papi e di re» pubblicata nel 2002 da Bietti, un anno prima della morte. Il libro è ancora disponibile dallo editore con sede a Milano ma con ufficio pure a Brescia in Corso Magenta 25; si può acquistare anche via Internet al sito www.bietti.it (573 pagine, 19,00). Il volume, curato dallo studioso Klaus Riehle, venne tradotto dal tedesco da Carlo Mainoldi; era stato infatti edito precedentemente a Vienna nel 1998 con il titolo Der tragische Karneval. Aga Hruska racconta nelle Memorie la saga della propria famiglia che incrociò più volte la grande storia italiana ed europea. Le circa seicento fitte pagine intrecciano filoni molteplici: dalle vicende personali, alle ricerche odontoiatriche (che ebbero esiti straordinari e riconoscimenti in campo internazionale), dalla grande storia nel suo farsi e disfarsi, allo spaccato di vita gardonese di epoca mitteleuropea e successivamente dannunziana. Gardone Riviera divenne definitivamente il paese dei Hruska con l’acquisto della bella proprietà trasformata in famoso giardino botanico dal padre Arturo a partire dal 1912. I figli (Mathilde nata nel 1904, Jan nel 1906, i gemelli Aga e Kurt nel 1907) ebbero nel padre (la madre morì presto) un educatore straordinario, severo al punto da spedire Aga e il gemello Kurt giovanissimi a Vienna senza un soldo affinché s’industriassero a guadagnare. Il genitore fu anche professionista di grande capacità: da vero caposcuola, iniziò i figli ai segreti dell’odontoiatria, disciplina nella quale aveva raggiunto notorietà internazionale, e trasmise loro l’amore per la natura, la botanica in particolare. Ma ecco la testimonianza relativa all’oro di Dongo che si legge nelle pagine di Aga Hruska: «Le prime espressioni di disagio nei confronti del fascismo che dominava in Italia le vidi a Parma. Dal momento che l’ambiente a Parma era tutt’altro che fascista, a una manifestazione di giovani cattolici si aggiunsero, in segno di protesta, anche numerosi studenti. Ma presto i carabinieri, sopraggiunti a cavallo con le sciabole sguainate, li dispersero». «Anche a Parma, come in altre università italiane, si potevano incontrare numerosi studenti ebrei provenienti dall’Europa sudorientale e dagli ex territori della monarchia asburgica, in quanto a loro l’accesso agli studi universitari, nei paesi d’origine, era più o meno impedito dal numero chiuso. Almeno a Parma, tutti erano i benvenuti ed erano aiutati il più possibile. Avrei sperimentato con mio fratello gemello Kurt questa disponibilità in prima persona: dal momento che la nostra conoscenza della lingua italiana non era sufficiente nemmeno per la scuola media, ci offrirono di sostenere gli esami, a seconda delle conoscenze linguistiche dei professori, anche in altre lingue. Così diedi fisiologia con il professor Carlo Foà, l’allievo del celebre fisiologo Wilhelm Ostwald, in inglese, e patologia chirurgica con il professor Razzaboni in tedesco». «Evitavamo di fare nuove amicizie ritenendo che ci avrebbero ostacolato nella preparazione degli esami. Se non che, un giorno, conoscemmo ? alla latteria della ’tettona’, un’emiliana nostra cordialissima amica ? Renato Cigarini. Cigarini ci fu subito molto simpatico, era stato un appassionato seguace di d’Annunzio, ma non era per nulla d’accordo con le idee dei fascisti. Ascoltavamo affascinati i suoi racconti, di come da ragazzo avesse partecipato all’impresa dannunziana di Fiume e avesse abbracciato, al pari di molti arditi tornati dalla guerra, idee di sinistra. Avevamo finalmente trovato un amico che la pensava come noi e che difendeva anche pubblicamente le idee socialiste che avevamo ereditato da nostro padre». «In seguito, non mi ricordo più esattamente l’anno, Cigarini accusato di sovversione, fu dapprima detenuto per tre anni in carcere giudiziario e poi mandato al confino nell’Italia meridionale. Per alcuni anni ci perdemmo di vista. Dopo l’8 settembre 1943, benché ricercato dai tedeschi per la sua appartenenza al partito comunista clandestino, durante la Repubblica di Salò riuscì un paio di volte a venire a cena a casa mia». «Per tutta la sua vita Renato Cigarini rimase una figura di grande discrezione. Non ritenne mai necessario travestirsi da partigiano, come molti dei suoi compagni comunisti, e anche dopo la guerra rimase con i piedi per terra e un amico fedele quando assunse – se ben ricordo – la rappresentanza per l’Italia di una ditta di Lipsia che fabbricava macchine da stampa. Renato non riusciva a nascondere il suo amore per i tedeschi: per lui essi erano gradevolmente e colti. La guerra era finita, quando Renato mi telefonò a casa. Sembrava piuttosto preoccupato, così che subito gli domandai: «Renato, non ti vanno bene le cose, posso aiutarti?». «E come se puoi aiutarmi, Aga. Mi hanno nominato responsabile delle finanze del Partito comunista, e devo investire tutti i soldi rimasti e una parte del tesoro di Dongo». «Cosa, anche il tesoro di Dongo?».«Sì, anche il tesoro di Dongo! Oro in barre, monete d’oro, valuta straniera a profusione! Aga, non ho la minima idea di come amministrare queste ricchezze. Ho assolutamente bisogno del tuo aiuto, dato che come collaboratori mi hanno messo al fianco un elettricista e un meccanico». «Dovetti rifiutare: di economia ne sapevo ancor meno di Renato; inoltre, non volevo avere nulla a che fare con il Partito comunista. L’unica cosa che potevo fare per lui era dargli l’indirizzo del mio amico Tito Carnelutti, figlio del noto avvocato e docente Francesco Carnelutti. Per motivi di sicurezza, insieme con suo fratello più giovane, Sergio, all’inizio del 1943 Tito si era trasferito in Svizzera. E come divenne affiatato, dopo la fine della guerra, il binomio Cigarini-Carnelutti. I soldi vennero prima usati per acquistare terreni agricoli nei dintorni di Milano, terreni che poi velocemente vennero trasformati, con l’aiuto dei sindaci comunisti, in terreni edificabili ad alto costo. Nonostante la sua appartenenza al partito comunista, Cigarini rimase, fino alla sua morte, un caro amico e un ospite ben accetto in casa nostra».

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