Ha 64 anni e nessuna voglia di smettere di pescare. «È la passione per questo mestiere – spiega Giancarlo Perinelli – che mi spinge a continuare ad uscire con la barca al mattino presto o alla sera tardi. Passione che mi ha trasmesso mio padre quando, appena finito le scuole elementari, mi portò con lui per la prima volta». Non subito, però: «Provò a dissuadermi. Ma io la notte sognavo di essere in barca con lui e i miei fratelli, in mezzo al lago a pescare lavarelli, sarde e anguille. Sapevo che quello che era il mio mesitere e mi avrebbe accompagnato tutta la vita: e così è stato». Aveva 28 anni quando sposò Adriana, di quattro più giovane: «Abbiamo avuto tre figli nel giro di quattro anni: ma loro oggi della pesca professionale neppure vogliono sentir parlare. Certi mestieri, bisogna averli nel sangue». Perinelli, il pescatore per antonomasia di Lazise, è il più anziano. Cerca la sua barca – che si chiama Simone, come il suo primo figlio -, la carica da solo delle reti e di tutto il materiale occorrente per la pesca e da solo parte con la sicurezza che distingue i «lupi di lago». Pronto a chiedere aiuto dal suo cellulare in caso di necessità. «Adesso abbiamo la possibilità di comunicare con il telefonino – spiega – Ma ai miei tempi, prima di partire bisognava scrutare sempre il lago per capire che tempo avrei trovato. I pescatori hanno questa abitudine, che è anche una regola: perché il lago va rispettato, non sfidato. Forse adesso comincia a diventare duro, perché gli anni avanzano: qualche acciacco si fa sentire, ma è così importante per me superare questi ostacoli, e ritornare sulla mia barca, che ogni sintomo di malanno scompare per incanto». Lazise conta solo cinque pescatori di professione: il più giovane ha «appena» 60 anni. Durante la pulizia dei fondali, avvenuta il 22 settembre scorso, in occasione della giornata mondiale per la bonifica dei mari e dei laghi, un gruppo di sub raccolse delle reti da pesca che sembravano abbandonate: erano le reti di Giancarlo Perinelli. «Vidi sul L’Arena – racconta – la foto del materiale recuperato dai sommozzatori. C’erano anche le mie reti: le riconobbi subito ed ho avuto un tuffo al cuore. Se non fossi riuscito a riaverle, avrei perso una parte importante della mia vita: senza quelle reti, avrei dovuto smettere di lavorare. Ma grazie all’interessamento di due giornalisti de L’Arena sono ritornato in possesso dei miei aeroplani» . Così sono chiamate in gergo quel tipo di reti.
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