L’attacco è diretto, pesante. Senza giri di parole. L’Icom, l’istituzione che dà voce a gran parte dei direttori di musei italiani, contesta le Grandi mostre e il modello-Brescia.Il presidente di Brescia Musei Agostino Mantovani non ci sta, prende carta e penna e risponde punto per punto al j’accuse di Icom Italia.Se ne parlerà anche venerdì, a un convegno a Cremona. Intanto c’è un carteggio» che cresce e si arroventa. Il ragionamento di Icom, racchiuso in un lungo documento, è netto: risorse e visitatori di mostre e musei rappresentano quantità limitate. Più ne vanno alle mostre, meno ne vanno ai musei. Non solo. Più si dedicano attenzioni alle mostre, più avanza una concezione commerciale che va a scapito dei musei e delle loro diversità.LA TESI DI MANTOVANI è opposta: mostre e musei si aiutano a vicenda. Il modello-Brescia non è un inno all’«effimero» ma si sostanzia di grandi investimenti anche su strutture museali permanenti. Dietro all’attacco di Icom il presidente di Brescia Musei intravede «interessi corporativi» e respinge una visione manichea che contrappone civici musei guidati da «personaggi senza macchia e senza paura» ad assessori alla Cultura, enti locali e Fondazioni ex bancarie animati da disegni oscuri.Mantovani rivendica con orgoglio il milione e mezzo di visitatori totalizzati dalle mostre bresciane: persone che hanno scelto di dedicare il loro tempo all’arte anzichè ad altri svaghi, e hanno potuto ammirare tutte insieme opere che normalmente sono disseminate per il mondo.Mantovani addita poi un «vizio di fondo» nel ragionamento Icom, ovvero «un’unica richiesta»: «Assessorati, enti pubblici, istituzioni, fondazioni, privati, smettete di fare cultura, soprattutto smettete di fare le Grandi mostre e date invece i soldi a noi, che ci pensiamo a gestirli meglio di voi». Ma Mantovani non ci sta: «Si insiste nell’attribuire ai Musei funzioni, ruoli e significati, peraltro corretti, che in pratica non possono però essere a loro esclusivamente affidati». È finito insomma un «monopolio», e Mantovani è convinto che questo non possa che far bene alla cultura.L’ARRINGA del presidente di Brescia musei respinge la tesi che la fortuna delle grandi mostre sia frutto solo di investimenti nella comunicazione («se la mostra non è di sostanza il tam-tam la squalifica subito irrimediabilmente»), e ricorda gli investimenti di Fondazione Cab che hanno rivitalizzato il sistema museale cittadino. Poi la contestazione dettagliata alle tesi Icom. Sui prestiti a pagamento: «Noto solo che è pratica che si sta diffondendo in tutto il mondo», e il modello-Louvre dovrebbe fare scuola. Sui costi esorbitanti delle mostre: «Amministrazione comunale e Fondazione Cab hanno perseguito i loro obiettivi con la metà della spesa che altrimenti, usando un service invece di un partner, sarebbe stata doppia per un analogo progetto». L’immagine della città è cambiata, dice Mantovani, mentre è vero che il turismo generato dalle mostre è soprattutto «mordi e fuggi», ma per quello «bisognerà soprattutto investire in accoglienza». Ai «puristi» Mantovani obietta: «Ancora troppo si enfatizza la logica del mercato privato ritenuta antitetica a quella del pubblico servizio e c’è da chiedersi se gli esperti dell’Icom si rendano conto dove va il mondo»Mantovani dimostra poi che le esposizioni non hanno sottratto visitatori ai musei bresciani ma, grazie al sistema di bigliettazione, hanno piuttosto convogliato verso di essi molti visitatori. I giudizi di autorità «terze», come Federcultura, vietano poi qualsiasi accostamento di Santa Giulia ai musei-spettacolo deprecati da Icom, mentre sondaggi dimostrano un gradimento del 94% alle mostre bresciane. Fugato il sospetto che Brescia Musei sia un carrozzone («presidente e Cda non ricevono compensi nè gettoni di presenza»), Mantovani rivendica l’efficacia del modello-Brescia basato su «uno stretto ed efficace rapporto sinergico tra pubblico e privato», con buona pace di chi «accetta il privato solo se paga e sparisce».
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