lunedì, Dicembre 4, 2023
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Presentato il libro di Michela Valotti Anton Maria Mucchi (1871–1945)

La figu­ra di Anton Maria Muc­chi (d’o­ra in poi AMM) è di quelle dif­fi­cil­mente argin­abili, dal pun­to di vista del­l’ap­proc­cio criti­co. Orig­i­nario di Fontanel­la­to, in provin­cia di Par­ma, AMM trascorre gran parte del­la sua esisten­za sulle sponde del Gar­da, pri­ma saltu­ar­i­a­mente e, soprat­tut­to a par­tire dagli anni Ven­ti, con una con­ti­nu­ità che viene inter­rot­ta solo dal­la morte, avvenu­ta nel 1945. Il mat­ri­mo­nio con Lucia Cate­ri­na dei Con­ti Tracagni di Salò rap­p­re­sen­ta il gan­cio più soli­do, un appro­do sicuro che gli con­sen­tirà di mat­u­rare una cer­ta seren­ità famil­iare ma, soprat­tut­to, gli per­me­t­terà di val­oriz­zare le sue atti­tu­di­ni di stori­co e criti­co del­l’arte. Tan­to che la dotazione pat­ri­mo­ni­ale del­l’at­tuale si deve per alcune sezioni, tra cui quel­la arche­o­log­i­ca, all’artista emil­iano.

Inser­i­to, crono­logi­ca­mente, all’in­ter­no di quel com­p­lesso con­testo fig­u­ra­ti­vo che dibat­te, a cav­al­lo di sec­oli, tra idea e for­ma, men­tre ven­gono a mat­u­razione gli esi­ti più inter­es­san­ti del Divi­sion­is­mo, e pure del Sim­bolis­mo, il pit­tore AMM appare, fin da subito, figu­ra “fuori dal coro”, con­vin­to del­la neces­sità che arte e vita siano legate da un nodo indis­sol­u­bile e teso ad inter­pretare la pit­tura come “ricer­ca”. Da qui un per­cor­so sen­z’al­tro poco “lin­eare”. AMM non è artista “tut­to d’un pez­zo”, graniti­co; dota­to di una curiosità a trat­ti vorace, fin da gio­vane fre­quen­ta cir­coli intel­let­tuali come quel­li ani­mati da Gio­van­ni Cena e Cesare Lom­broso, poten­do con­tare sul sosteg­no sin­cero del­lo scul­tore Leonar­do Bis­tolfi. L’ampia cor­rispon­den­za di cui è pro­tag­o­nista, sia come mit­tente che come des­ti­natario, lo vede intrat­tenere inten­si sodal­izi, tra gli altri, con Giuseppe Pel­liz­za da Volpe­do e Ange­lo Mor­bel­li.

La propen­sione all’ag­gior­na­men­to pro­fes­sion­ale lo con­duce, dopo l’alun­na­to tori­nese all’Ac­cad­e­mia Alberti­na con Gia­co­mo Grosso e Pier Celesti­no Gilar­di, a fre­quentare, a Berg­amo, lo stu­dio di Cesare Tal­lone e a intrapren­dere numerosi viag­gi, in prim­is nelle cap­i­tali più aggior­nate in cam­po artis­ti­co, come Venezia, o Roma e poi, fin dal 1902, all’es­tero, in Bel­gio e in Ger­ma­nia, soprat­tut­to, a stret­to con­tat­to con le mostre del­la Seces­sione mona­cense che lo ori­en­terà ad una pit­tura a trat­ti vision­ar­ia.

Un’in­qui­etu­dine intel­let­tuale, insom­ma, pare con­dur­lo a muover­si con­tin­u­a­mente, famiglia al segui­to, mai pago degli esi­ti rag­giun­ti.

Le scelte del­la matu­rità, poi, lo ori­en­tano a prediligere il collezion­is­mo, soprat­tut­to quel­lo arche­o­logi­co, dan­do vita a quel var­ie­ga­to e ric­chissi­mo pat­ri­mo­nio che cos­ti­tu­isce, oggi, il nucleo fonda­ti­vo del Arche­o­logi­co “Anton Maria Muc­chi”. Così come, alcune delle opere – soprat­tut­to di ambito emil­iano – pre­sen­ti al MuSa, proven­gono dal lega­to Muc­chi. Che dire, infine, di quel­la preziosa selezione che con­no­ta l’alles­ti­men­to del sec­on­do piano del MuSa, in cui le opere real­iz­zate da AMM sono affi­an­cate al Ritrat­to a lui ded­i­ca­to, ese­gui­to da Gia­co­mo Grosso, insieme a quelle degli altri pro­tag­o­nisti del­la Salò nove­cen­tesca, Ange­lo Lan­di e Cesare Bertolot­ti.

Questo prog­et­to edi­to­ri­ale, insom­ma, non intende né offrir­si come una gui­da del museo, e nem­meno come un cat­a­l­o­go ragion­a­to del­l’artista. Si pre­figge, piut­tosto, di avviare un pri­mo con­trib­u­to alla val­oriz­zazione di un artista anco­ra poco stu­di­a­to che ha dato molto alla cit­tà di Salò e alla sua cresci­ta cul­tur­ale. Basti­no, per tut­ti, i volu­mi su Gas­paro da Salò e sul Duo­mo.

«Ded­i­catosi nei pri­mi anni affer­ma Ele­na Led­da pres­i­dente del­l’ — qua­si esclu­si­va­mente alla figu­ra, più avan­ti viene attrat­to dal­la natu­ra e com­pie una serie di pae­sag­gi che van­no dal­l’im­pres­sione rap­i­da e sin­tet­i­ca fino a gran­di tele come la Nuvola e il Pome­to.  Tele di figu­ra e ritrat­ti si alter­nano con poet­iche visioni di pae­sag­gio, molte delle quali, e tra le più attraen­ti, ese­gui­te sul , che com­in­cia a fre­quentare dopo il suo mat­ri­mo­nio con la con­tes­sa Trec­ca­ni e che diven­ta poi la sua dimo­ra d’elezione. Nel­la pace del­la Riv­iera, tra gli ulivi e gli allori che cir­con­dano la casa, inframez­za all’­opera sua di pit­tore, che ormai persegue soltan­to per la sua inti­ma sod­dis­fazione, con gli stu­di sulle opere d’arte con­ser­vate nel­la cit­tad­i­na garde­sana e gli scrit­ti che va pub­bli­can­do nelle “Mem­o­rie del­l’Ate­neo di Salò”, sul “Popo­lo di Bres­cia” e su riv­iste d’arte». Queste, lievi e mor­bide come se fos­sero anch’esse pen­nel­late des­ti­nate a fer­mare momen­ti e fig­ure, sono le parole che Lodovi­co Muc­chi, figlio del grande mae­stro Anton Maria, scrive nel­la riv­ista peri­od­i­ca del­l’an­ti­ca Accad­e­mia salo­di­ana,  a ricor­do del padre  scom­par­so il 3 gen­naio 1945.

Ne emerge, sul­lo sfon­do cro­mati­co di un tem­po pas­sato e di un luo­go a noi caro, l’im­mag­ine vivi­da di un uomo dal­l’an­i­mo sen­si­bile, alla costante ricer­ca di equi­lib­rio e di armo­nia, alla scop­er­ta di accadi­men­ti, momen­ti e mem­o­rie di una ter­ra che ama per tesserne la sto­ria più vera e pro­fon­da.

Ne escono il “volto” e l’at­teggia­men­to di un artefice del­la cul­tura che vive nel­l’indis­sol­u­bile legame fra ten­sione conosc­i­ti­va, disponi­bil­ità relazionale e statu­ra morale, che sono poi il sen­so del­la sua impronta eti­ca, del­lo spes­sore del­l’uo­mo.

Fine pit­tore e raf­fi­na­to criti­co d’arte, atten­to biografo, appas­sion­a­to arche­ol­o­go e sto­ri­ografo min­uzioso, Anton Maria Muc­chi, per queste sue spic­cate doti, entra a far parte del­l’Ate­neo cit­tadi­no nel 1923, per poi las­cia­re il ruo­lo ai figli Gabriele e Lodovi­co.

A dis­tan­za di qua­si cen­to anni — con­clude la pres­i­dente Led­da -, pre­sentare, con l’Am­min­is­trazione Comu­nale e la Fon­dazione Pia Car­ità Laicale di Salò, lo scrupoloso, accu­ratis­si­mo e ben strut­tura­to stu­dio che sul­l’Artista ha com­pi­u­to Michela Val­ot­ti, magis­trale inter­prete di doc­u­men­ti spes­so inedi­ti, non sig­nifi­ca pren­dere ulte­ri­or­mente atto del grande val­ore del “mae­stro”. O, comunque, non solo. E’ anche trib­utare omag­gio a chi ha saputo indi­car­ci, attra­ver­so ricerche e scrit­ti, val­ori di vita impor­tan­ti, a chi è rius­ci­to a far­ci com­pren­dere che l’arte – nel­la sua accezione più ampia — è “pre­sen­za” per­ché  ani­ma lo spazio e scav­al­ca il pas­sato per con­tin­uare a vivere con noi, a chi è sta­to, dunque, e con­tin­uerà ad essere, mes­sag­gero di bellez­za”.

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