Brentino Belluno. I tempi sono cambiati, non c’è dubbio, e la coscienza ambientalista unita agli sforzi compiuti dagli enti pubblici, Provincia in testa, hanno fatto sì che fra Baldo, Val d’Adige e Lessinia il territorio veronese sia tornato ad essere abitato praticamente da tutte le principali specie faunistiche superiori, comprese quelle che da tempo erano state considerate scomparse. E infatti oltre al camoscio, presenza da oltre un decennio costante e sempre più numerosa sia sul Baldo che in Lessinia, anche il cervo è tornato a popolare i nostri boschi. Talvolta però incappando, quest’ultimo, a causa del bisogno tipico di questa specie di effettuare grandi spostamenti da una zona all’altra, in spiacevoli imprevisti. È quanto accaduta un paio di settimane fa in Val d’Adige ai quattro cervi, due femmine adulte e due piccoli, scivolati nel Biffis nel territorio comunale di Brentino Belluno, il cui fondo ghiacciato (ma fortunatamente privo d’acqua) avrebbe potuto trasformarsi in una trappola mortale. Dell’intervento di salvataggio abbiamo già ampiamente parlato su queste pagine ma per meglio comprendere la dinamica di questi incidenti, peraltro non infrequenti, e le modalità con cui vengono effettuate le operazioni mediche sulla fauna selvatica, abbiamo chiesto informazioni ai massimi esperti locali in fatto di cure agli animali selvatici: Alessandro Salvelli ed Antonio Benciolini, veterinari dell’Usl 22 di Caprino. «Che i canali come il Biffis siano una trappola micidiale per gli animali selvatici», spiega Benciolini, «è cosa risaputa da oltre un decennio, tant’è che dal 1990 ad oggi, per citare solo il caso dei cervi, oltre ai quattro dello scorso gennaio, sono stati altri cinque i capi finiti nelle acque del Biffis. E di questi cinque soltanto uno siamo riusciti a salvarlo. I cervi, infatti, con il loro estremo bisogno di muoversi alla ricerca di boschi solitari e luoghi impervi», continua Benciolini, «sono in grado di spostarsi anche di venti o trenta chilometri a notte. Ed in zone come la Val d’Adige tutto ciò significa andare incontro a seri rischi». Oltre al Biffis, reso dalla totale mancanza di recinzione una trappola micidiale per gli animali selvatici ma non solo, anche le due strade (la Statale del Brennero e quella del Vo’ destro), l’autostrada e la ferrovia costituiscono da un lato gravi ostacoli ai suoi spostamenti e dall’altro possibili luoghi a rischio di scontro fra animali e veicoli in transito. Eventualità, quest’ultima, peraltro già verificatasi in passato. «Gli animali selvatici feriti», sottolinea sempre Benciolini, «sono pazienti delicatissimi la cui sopravvivenza, nel caso di ferite gravi, dipende non solo dalla gravità della ferita in sé ma anche dal grado di stress cui vengono sottoposti. In altre parole se li si vuol salvare occorre anzitutto lasciarli dove li si è trovati e poi avvertire immediatamente chi ha mezzi e competenze per tali interventi». Il caso dei quattro cervi scivolati due settimane fa sul fondo ghiacciato del Biffis è stato, al proposito, un perfetto esempio di collaborazione, professionalità e tempestività, sottolineano i veterinari dell’Usl 22. «Allertata da alcuni cacciatori della locale Riserva Alpina», ricorda Alessandro Salvelli, «la Polizia Provinciale si è infatti immediatamente rivolta a noi dell’Usl 22 che, dopo aver informato della cosa il responsabile del Servizio Veterinario, Ferdinando Sbizzera, ci siamo recati sul posto in tre: io, Benciolini e Pierluigi Tambalo. Dopo aver valutato approssimativamente i danni riportati dagli ungulati e considerate le dimensioni dei singoli esemplari nonché le loro condizioni di stress, li abbiamo poi narcotizzati per poter così procedere ad una analisi più accurata delle loro ferite e curarli». L’operazione si è svolta quindi senza stress per gli animali che, caricati poi dalla Polizia Provinciale e da alcuni volontari sui fuoristrada, sono stati trasferiti al Pian di Festa per la loro liberazione. «Prima di liberarli però», aggiunge Benciolini, «li abbiamo marchiati con una targhetta auricolare e abbiamo somministrato loro un antidoto al narcotico, così che il risveglio avvenisse nella maniera meno traumatica possibile». Un buon risultato, quindi, la cui piena riuscita è da addebitare da un lato al fatto che, come hanno sottolineato gli stessi Salvelli e Benciolini, «per fortuna non è stato difficile narcotizzare i cervi essendo impossibilitati a muoversi a causa della presenza del ghiaccio sul fondo del canale. Dall’altro lato all’ottima collaborazione fra tutti coloro che si sono impegnati nel salvataggio, dai cacciatori che hanno effettuato la segnalazione, ai volontari intervenuti, dalla Polizia Provinciale alle Guardie Forestale sopraggiunte e, ovviamente, all’equipe veterinaria». Ma se questa vicenda si è conclusa felicemente, ciò non deve costituire un motivo per abbassare la guardia e trascurare di porre un rimedio a questi incidenti. «Noi auspichiamo», affermano infatti Salvelli e Benciolini, «che non solo l’Enel si decida quanto prima a recingere il canale ma anche che il problema delle barriere costituite da strade autostrade e ferrovie venga risolto creando in tempi ragionevolmente brevi appositi passaggi per la fauna selvatica». Nei paesi d’Oltralpe, Germania, Inghilterra e Paesi Scandinavi in testa, queste vie di transito ad uso e consumo dei selvatici sono una realtà ovunque c’è la presenza dell’uomo. Si tratta di interventi dal costo irrisorio e di facile realizzazione che di certo sottolineerebbero il grado di civiltà ambientale raggiunto nel nostro territorio ma soprattutto permetterebbero di evitare incidenti il cui costo potrebbe essere rappresentato non soltanto da capi di selvaggina ma anche (pensiamo ad esempio a cosa potrebbe succedere se un cervo attraversasse di notte l’Autobrennero), da vite umane.
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Parlano i veterinari Usl dopo il salvataggio dei cervi nel Biffis. In Valdadige sempre più camosci e cervi ostacolati da strade, canali, ferrovia
Barriere e porte per la sicurezza di persone e animali selvatici
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