Cinquant’anni fa il Po in piena, rotti gli argini a Occhiobello, allagò il Polesine. Una massa fangosa invase in particolare quella grande striscia di pianura tra l’Adige e il grande fiume che è appunto il Polesine di Rovigo. Scatta la solidarietà. La grande solidarietà dall’Italia ma anche dall’estero. C’è bisogno di aiuto, di tutto. Soprattutto urgenza di mezzi anfibi, di barche di ogni tipo per trarre in salvo quanti si sono appollaiati sui tetti o sono rimasti bloccati lungo gli argini. Accorrono anche i pescatori del lago di Garda con le loro «gondole piane», quello stesso tipo di imbarcazione che ora figli e nipoti usano non più per la pesca ma per le sfide remiere. Ci sono anche una ventina di giovani di Garda guidati dal comandante di Brigata dei carabinieri Paolo Abrile, gardesano di stanza a Padova. Operarono nella zona alluvionata per una decina di giorni, andando di casolare in casolare, salvando più persone possibile. Senza clamore. Eroi che non hanno avuto, come ai giorni nostri, occasione di apparire sul piccolo schermo in quanto la televisione comincerà a irradiare i programmi soltanto qualche anno dopo nel ’54. Dimenticati con lo scorrere del tempo, e gruppo andato sempre più assottigliandosi di anno in anno. I pochi rimasti, a 50 anni di distanza dalla tragica alluvione di quel fatidico 14 novembre, l’altro ieri sono stati onorati da parte della Corporazione degli antichi originari di Garda che ha dato il via così a un premio annuale che di volta in volta sarà assegnato agli originari distintisi nella professione, nell’arte, nella vita. A ricordo, dice la motivazione dell’attestato di benemerenza conferito a Mario Monese, Aldo Malfer, Gabriele Malfer, Gino Malfer, Ezio Ragnolini, Carlo Simonelli, Enzo Galetti, Umberto Zampieri e Giuseppe Monese, «della grande umanità dei pescatori di Garda, molti dei quali ormai scomparsi, i quali, con il supporto di gondole piane, e animati da generosa solidarietà, si spinsero nelle pericolose acque che circondavano la cittadina di Occhiobello portando amoroso soccorso». Ricordi vaghi nella mente di Enzo Galetti (Bastiani) che all’età di 25 anni non ebbe alcun dubbio ad aggregarsi al gruppo e agire da Caronte nelle acque fangose. «Ne ho salvate non meno di una trentina di persone – dice Aldo Pasotti tra una forchettata e l’altra di polenta e baccalà – prima di essere ricoverato all’ospedale fradicio fino al midollo e con forte febbre. Tutti vecchi e bambini che si trovavano in notevole difficoltà – precisa l’Ocio come meglio è conosciuto a Garda. «Un’esperienza traumatica – ricorda Gino Malfer, classe 1928 – con tutta quell’acqua che turbinava e la gente a chiedere soccorso. Ero in barca con lo scomparso Nino Viola – dice il Tita – a fare da spola nel trasportare al sicuro, quanti si erano ritirati al piano superiore dei casolari, molto attenti ad evitare i pericoli che nascondevano le acque fangose». A festeggiare i pochi superstiti non poteva mancare anche chi per sfuggire al pericolo dalle periodiche rotte del fiume scelse Garda come luogo più sicuro: i Pastorelli, i Risari, i Lenzo, ma anche altri come i Guerrato, Panizzo, Bellinazzo e altri ancora tutt’ora con attività nella cittadina lacustre.
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Sono Antichi originari i giovani che aiutarono il Polesine alluvionato