lunedì, Dicembre 11, 2023
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Gelo in Busa: tanto ma non da record

In questi giorni sti­amo dan­do un po’ tut­ti i numeri. Col­pa del fred­do. Bas­ta entrare in un bar o dal tabac­caio per assis­tere a gare al rial­zo fra chi reg­is­tra le tem­per­a­ture più…basse in questo dicem­bre tra i più fred­di degli ulti­mi anni. Anche la “Busa”, con­sid­er­a­ta la riv­iera trenti­na, sta facen­do i con­ti con il cli­ma siberi­ano e cresce anche la pre­oc­cu­pazione per il futuro del­l’ulivi­coltura, fal­cidi­a­ta già nel 1985. Quali sono le zone più fred­de? Ed esiste il peri­co­lo che si ripeta quel­l’in­ver­no terribile?«Sul bal­cone di casa mia — riv­ela un’anziana sig­no­ra, qua­si con orgoglio — oggi il ter­mometro seg­na­va 6 gra­di sot­toze­ro». Poco più un tran­quil­lo sig­nore sta sorseg­gian­do un cap­puc­ci­no. «Quan­do ques­ta mat­ti­na ho aper­to il garage — rib­at­te l’uo­mo tenen­do la taz­za con tutte e due le mani, qua­si cer­can­do un po’ di cal­do — la colon­ni­na del mer­cu­rio era fer­ma ad 8 gra­di sot­to lo zero». Sce­na avvenu­ta in bar che pone un que­si­to: ter­mometri tarati diver­sa­mente o la tem­per­atu­ra può vari­are così vis­tosa­mente da luo­go a luo­go? «Esistono zone più fred­de di altre» spie­ga Fran­co Mich­e­lot­ti del­l’E­sat che per il mon­i­tor­ag­gio può con­tare anche sulle cen­tra­line di Riva e Arco del­l’is­ti­tu­to di San Michele all’Adi­ge. «La fas­cia di ter­ri­to­rio che dal Fan­goli­no, la zona vic­i­na al biv­io delle Gra­zie per inten­der­ci, attra­ver­sa la “Busa” fino alla dis­car­i­ca del­la Maza è sicu­ra­mente quel­la dove si reg­is­tra­no le tem­per­a­ture infe­ri­ori. Sulle pen­di­ci sot­to il castel­lo di Arco, invece, il cli­ma è molto più mite, con vari­azioni anche di 3–4 gra­di sulle min­ime rispet­to alle zone più fred­de. In lin­ea di mas­si­ma, però, si può dire che sul fon­dovalle, la tem­per­atu­ra sia sicu­ra­mente più bas­sa che in col­li­na. La colti­vazione degli olivi, prati­ca­mente assente in pia­nu­ra, ne è la pro­va più lam­pante: l’es­pe­rien­za accu­mu­la­ta nei sec­oli ha inseg­na­to che sui pendii l’aria è sem­pre più tem­per­a­ta». Nel 1985, però, il gen­erale inver­no non risparmiò nes­suna zona, facen­do morire migli­a­ia di olivi. C’è peri­co­lo che questo si ripeta? «Per ora direi di no» con­tin­ua Mich­e­lot­ti. «Allo­ra, a fare strage di piante furono quat­tro giorni micidi­ali, quel­li dal 5 all’8 gen­naio, quan­do la tem­per­atu­ra non superò mai lo zero. In quel peri­o­do, la min­i­ma rag­giunse i 12,5 sot­toze­ro men­tre la mas­si­ma arrivò a 5,4, sem­pre sot­to lo zero: i dan­ni a molti esem­plari furono irre­versibili. Quest’an­no, invece, le “ferite” alle piante dovreb­bero essere nulle o, al mas­si­mo, di pri­mo gra­do, e cioè al fogliame, per gli esem­plari delle zone più fred­de. Per quan­to riguar­da la pro­duzione, infat­ti, essa si pre­an­nun­cia eccezionale sia per la quan­tità, la più alta del­l’ul­ti­mo decen­nio, che per la qual­ità del­l’o­lio prodot­to, sicu­ra­mente il migliore del­l’ul­ti­mo bien­nio».

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