mercoledì, Maggio 1, 2024
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Al convegno in Granguardia promosso dalla Regione i risultati ottenuti da chi ha già creato l’area protetta. La proposta del Wwf, che fu del geografo Turri, ora convince le categorie

Il Parco del Baldo è più vicino

Potrebbe essere il sesto parco regionale quello del Monte Baldo, dopo Colli Euganei, Fiume Sile, Delta del Po, Lessinia e Dolomiti d’Ampezzo. Non è più «una fondata speranza», come la definisce Averardo Amadio, esponente del Wwf di Verona, «ma una nostra precisa richiesta», aggiunge, dove per nostra intende anche il coinvolgimento di associazioni come Amici della Terra, Centro turistico giovanile, Club alpino italiano, Italia Nostra, Legambiente e Lipu. Ne parla al convegno «Parchi e aree naturali del Veneto, una risorsa da valorizzare per una politica di ascolto e di azioni condivise», promosso a Verona dall’assessorato ai parchi della Regione Veneto. «Rileggo le carte dopo 30 anni, torno a osservare vecchie mappe, frutto di tanti pensieri e di tante camminate su un monte che è patrimonio comune e sento che è il momento giusto per riesaminare con l’assessore Stefano Valdegamberi e il presidente Giancarlo Galan, che ha la delega al paesaggio, una proposta che esce da un lungo sonno», ammette Amadio. Ma perché oggi? «Perché non sono più sufficienti l’amore per la propria terra e le regole non scritte della civiltà contadina che hanno conservato il Baldo per secoli. A un’agricoltura in declino si è affiancato un turismo impetuoso che stringe la montagna d’assedio. Servono nuove regole per preservare un patrimonio che non è da considerare somma di vincoli, ma offerta di opportunità», aggiunge Amadio. È un tasto su cui ieri mattina alla Granguardia di Verona, dopo l’apertura dei lavori affidata al sindaco della città Paolo Zanotto e all’assessore Valdegamberi, ha insistito particolarmente Antonio Confortin, presidente del parco del Fiume Sile e coordinatore dei parchi del Veneto. «In queste aree protette, considerando anche il parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, sono inclusi 88 mila ettari e 67 Comuni veneti, eppure sembra un fenomeno in ombra, o così almeno è stato fino all’impegno dell’attuale assessore regionale, perché i parchi ci sono da 20 anni, ma è la prima volta che se ne affrontano i temi in un convegno di questo livello», ammette. Sono quattro i fronti dell’impegno, secondo Confortin per far uscire la tutela ambientale dall’anonimato e dal sottoscala della politica: la biodiversità, la produttività, lo sviluppo di energie alternative e la comunicazione. L’esistenza dal parco garantisce la biodiversità dentro l’area protetta e anche nei territori limitrofi, com’è unanimemente riconosciuto. Ma occorre assicurare corridoi biologici fra le aree protette perché non restino delle riserve: «L’interscambio delle specie è vitale per il Veneto quanto le grandi infrastrutture viarie lo sono per l’economia», avverte Confortin. Dove c’è parco c’è ricchezza, di ambiente, di salute, ma anche economica. Se ne sono accorte le stesse organizzazioni agricole, prime a ostacolare in passato l’istituzione dei parchi e oggi prime a collaborare perché il marchio del parco è risorsa per le aziende che puntano alla tipicità, ma che possono sfruttare anche le energie alternative fornite dai parchi in biomassa, energia fotovoltaica, idroelettrica, eolica. Nel ricordo che è stato fatto della figura del geografo Eugenio Turri è lui stesso, nel filmato «Carta d’Asiago», a sottolineare la necessità di «darsi da fare per non perdere i connotati identitari e conservare la memoria delle cose». La figlia Lucia, gli amici Ugo Sauro, docente di geografia, Vittorio Castagna, presidente dell’Accademia di scienze, lettere ed agricoltura di Verona, Giuseppe Papagno, storico dell’Università di Parma e lo scrittore Mario Rigoni Stern ricordano che per lui il problema della tutela «era un fatto intimo della coscienza, dove spesso non servono grandi interventi dall’esterno, ma lo sguardo al bene sacro, troppo spesso tradito in cambio di beni materiali». Forse qui, più che altrove sta il segreto carpito da Turri: un parco laboratorio, dove la vera sfida è convincere gli abitanti del parco ad essere coscienti del proprio patrimonio. «Di lui si può dire quello che dicono le guide alpine aostane dei compagni morti in montagna: Il n’est pas mort. Il est tombé (Non è morto, è caduto), a significare», spiega Papagno, «che chi ha piantato dei chiodi lungo la sua strada, resiste nella memoria». Segnali di maggior coscienza ambientale ci sono e sono presentati da tre buoni esempi. Il presidente del parco della Lessinia, Stefano Marcolini, illustra l’operazione di sistemazione ambientale che porterà nei prossimi mesi a togliere la bruttura del villaggio fantasma dei Parpari, cadenti costruzioni che dovevano essere il campeggio che non è mai stato. Luciano Guerrini, assessore del Comune di Verona, presenta il parco dell’Adige, un milione e ottocentomila metri quadrati di tutela ambientale a nord e a sud della città, primo stralcio di un parco urbano che prefigura altri sviluppi nel parco delle mura e della collina. Infine Simone Campagnoli, presidente del parco dei Colli Euganei, primo nato fra quelli veneti, porta l’esempio dell’ottimo lavoro raggiunto con la collaborazione di cinque Comuni del bacino termale, albergatori, sindacati, agricoltori, artigiani e commercianti per la certificazione europea Emas, che qualifica l’eccellenza nella gestione ambientale del territorio.

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