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Un decreto censisce i prodotti tipici tradizionali che potranno derogare dalle rigide norme Ue

Oltre duemila «golosità» italiane tutelate

Ne uccide più la gola che la spada. Era il detto imperante fino a qualche decennio addietro e oggi introvabile. Altro segno dei tempi in vorticoso mutare. Il peccato di gola resta scolpito tra i vizi capitali, ma chi se ne ricorda? O ci fa più caso? Paradossalmente quando mettere d’accordo il pranzo con la cena sfiorava l’impossibile e le cinghie strisciavano quotidianamente sul tirato si paventavano i peccati di gola; oggi che qualsiasi leccornìa può solluccherare il palato è caduto ogni richiamo alla sobrietà culinaria. Con una punizione: colesterolo & C., sogghignando, inducono a mortificazione forzata. Una perfida legge del contrappasso ci ha fatti passare dal digiuno alla dieta. Eppure la gola perpetua ugualmente il suo trionfo, dato che le golosità italiane sono state censite, allineate in un decreto del ministro per le Politiche agricole, Pecoraro Scanio, e presentate come vanto del bel gustare italiano. Le golosità ufficiali, chiamiamole così, sono 2171, per ora. Infatti, secondo Pecoraro (che sembra avere avuto occhio particolare per il pecorino), sono destinate a dilatarsi. Perchè il decreto? Perchè l’Unione Europea ha emanato norme igieniche di tale rigidità che quasi tutti i prodotti tipici italiani, frutto di tradizioni e lavorazioni secolari, sarebbero destinati a scomparire. Prodotti famosi, come il lardo di Colonnata, il formaggio di fossa, la mortadella di Campotosto, il nostrissimo Bagòss e tutta la serie di formaggi e formaggelle nostrane, non meno dei salumi, sarebbero fuori norma. Così come bevande uniche come il fragolino di Calabria, olii, mieli, o legumi non lavorati come ceci, farro, aglio rosso di Sulmona, lenticchie di Colfiorito. Queste specialità ora figurano nel decreto e altre se ne aggiungeranno poiché l’elenco sarà aggiornato nel gennaio prossimo. Il tutto per chiedere all’Unione Europea la deroga dalle norme igieniche che vogliono trasformare (forse giustamente, forse esageratamente) anche una parvenza di laboratorio in quasi sala operatoria. Il censimento di questi alimenti unici, distillati nel corso dei secoli e giunti a noi grazie proprio alla tradizione ed alla manualità di piccoli, preziosi produttori, vede in testa ortofrutticoli, naturali o trasformati, in numero di 578; poi pani e paste fresche, biscotti e dolci (574), carni e insaccati (424); i formaggi sono soltanto 376, ma il numero è destinato a salire. I meno rappresentati sono i condimenti: burro, olii e margarina. Le regioni più prodighe di golosità sono la Toscana, con 282 specialità; Veneto, 204; Lombardia, 203; Piemonte, 162. La Sicilia ne ha censite solo 64, ma si tratta sicuramente di accidia insulare. C’è modo e tempo, comunque per rimediare: l’elenco, secondo le previsioni di Pecoraro Scanio, dovrebbe… ingrassare fino a tremila specialità. Che accadrà nel prossimo futuro? I prodotti in decreto saranno tutelati da un marchio. Sospettare che aumenterà il loro prezzo è pensar male, ma s’indovina. Semmai può consolare, parzialmente, una fantasia: in assenza del decreto e avanzando teutonicamente la proibizione europea, questi prodotti sarebbero precipitati nella clandestinità. Facile intuire che, paradossalmente, nel momento di maggior abbondanza cibaria nella storia dell’Italia, si sarebbe aperto un mercato nero di questi prodotti, con prezzi stellari… E la gola, lungi dall’uccidere i… golosi, avrebbe quantomeno ferito il portafoglio. Egidio Bonomi

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