martedì, Maggio 14, 2024
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Preoccupante rapporto dell’organizzazione ecologista, che coinvolge anche varietà tipiche del lago

Pesci, l’allarme del Wwf

Ci fu un tempo in cui i carpioni nel lago di Garda erano «numerosi come le foglie sugli ulivi», per usare la bellissima frase che un vecchio pescatore disse un giorno a Tullio Ferro, giornalista e scrittore gardesano. Poesia di un tempo lontano, perchè i carpioni rischiano davvero di scomparire, in compagnia di molte altre specie.Lo dice il Wwf, che per il sesto anno consecutivo pone il carpione del Garda tra le dieci specie animali a più immediato rischio di estinzione in Italia, e contemporaneamente lancia l’allarme per altre 50 specie di pesci d’acqua dolce.Per quanto riguarda il Garda, una valutazione preoccupante riguarda anche la ben nota crisi dell’alborella, (l’«aola») e della trota lacustre, ma da quest’anno anche il luccio (di cui in realtà da anni si nota una sofferenza nel Benaco) e persino l’anguilla, che nel Garda viene immessa artificialmente (a causa dello sbarramento della diga di Salionze), ma che in tutta Italia rischia, tanto che l’Unione europea ipotizza un fermo-pesca di 15 giorni al mese, fatto senza precedenti, per salvare gli stock di anguille.In pratica, nella valutazione del Wwf, l’unico pesce non a rischio è il cavedano, «per la sua estrema adattabilità alle condizioni ambientali più difficili».«Le cause di questa situazione – spiega il Wwf – sono riconducibili in gran parte alla gestione inefficiente della rete idrografica superficiale e alle distruzioni degli habitat naturali». Dunque i livelli «ballerini» delle acque per i prelievi irrigui, che lasciano in secca le uova deposte vicino a riva; la cementificazione delle sponde che ha fatto sparire le «franate» su cui i pesci andavano a riprodursi; la rarefazione dei letti di alghe e piante acquatiche; le dighe e gli sbarramenti in entrata e uscita da fiumi e torrenti.«Situazioni – dice il Wwf – favorite da una grande confusione normativa, dalla frammentazione di competenze e risorse e dalla tardiva o mancata applicazione di direttive internazionali, in particolare la Direttiva quadro acque del 2000 e la Direttiva habitat del ’92, per cui l’Italia è stata già più volte richiamata o condannata dall’Unione Europea».

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