lunedì, Aprile 29, 2024
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La frana sulla Gardesana Occidentale che il 3 febbraio 1999 uccise Gino Avancini non fu un "caso fortuito" ma rientrava e rientra nella "normale prevedibilità".

Sconvolgente: la frana del 3 febbraio dello scorso era prevedibile

La frana sulla Gardesana Occidentale che il 3 febbraio 1999 uccise Gino Avancini non fu un “caso fortuito” ma rientrava e rientra nella “normale prevedibilità”. La Provincia Autonoma di Trento, che sette mesi prima di quel tragico giorno, assunse le responsabilità di manutenzione di quella strada (e di altre strade statali), non ebbe “il tempo tecnicamente sufficiente per uno studio completo del versante soprastante e comunque dissipato dalla lentezza e dalle inadempienze dell’Anas”. E ancora. Il geologo previsto nella pianta organica per la zona in questione? Di stanza in Puglia, zona “notoriamente” ad elevato rischio di frana. E ancora: i sensori di avviso di smottamenti e di monitoraggio della parete? Installati a titolo sperimentale, causarono tra l’altro “notevoli falsi allarmi” che consigliarono i tecnici a rimuovere il semaforo che scattava in caso di pericolo e non furono mai più rimessi in funzione dopo il furto del ’97.Sono solo alcuni passaggi della voluminosa perizia che l’ingegner Enrico Manfrini di Rovereto e il geologo Luigi Frassinella di Trento hanno elaborato in questi mesi su mandato del sostituto procuratore della Repubblica Fabio Biasi che sta cercando di far luce sulla tragedia che la mattina del 3 febbraio ’99 uccise Gino Avancini, pensionato di Bolognano d’Arco che a bordo del suo Ape Piaggio stava transitando lungo la Gardesana Occidentale in direzione Limone proprio in quei drammatici momenti. La perizia Manfrini-Frassinella rappresenta la “punta di diamante” del fascicolo aperto dal magistrato roveretano ed è uno spaccato dettagliatissimo della storia di quella strada e delle inadempienze dell’Anas nel fronteggiare una situazione di grande rischio per l’incolumità delle persone. Le ipotesi di reato contemplate dal fascicolo del pm vanno dall'”omicidio colposo” all'”omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro” e alla “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”. Ipotesi di reato che nei prossimi giorni potrebbero portare a più di un avviso di garanzia a carico di dirigenti e responsabili Anas e puntare anche ai vertici del Ministero.”Lo studio geomeccanico dell’ammasso roccioso in corrispondenza e nelle vicinanze della nicchia di distacco del 3 febbraio ’99 – scrivono Manfrini e Frassinella – ha consentito di individuare ulteriori situazioni propense al rilascio d’elementi lapidei aventi volume fortemente variabile. La meotodologia d’indagine adottata – e qui viene il bello – non richiede abilità tecniche eccedenti l’ordinaria competenza professionale del geologo, ne capacità fisiche superiori alla norma… L’assenza di uno studio geologico esaustivo dell’argomento non è dovuta alla lunghezza di tempi tecnici bensì alla mancata decisione di eseguirlo. Si ritiene pertanto che fosse possibili localizzare, con le consuete metodologie operative, le aree esposte a rischio imminente di crolli rocciosi e che tale opera dovesse essere giunta a compimento in tempo utile per prevenire l’evento del 3 febbraio”.Nell’interrogatorio dell’11 febbraio poi, il geometra Sergio Fornaio, capo nucleo e capo sezione tecnica competente per la 45 bis all’epoca della frana, confermò davanti al magistrato e ai periti che “tutti i lavori progettati per le opere di messa in sicurezza della zona in esame non hanno mai usufruito della consulenza geologica in quanto la figura professionale in questione non era presente, anche se prevista, nell’ambito del compartimento”. Solo nel ’97 furono disposti finanziamenti per consulenze geologiche esterne. Qualche mese prima (era il novembre ’96) il Compartimento Viabilità del Trentino Alto Adige scrisse a quello di Bari per chiedere la disponibilità per “brevi periodi limitati” del geologo in servizio presso il compartimento pugliese. Una settimana più tardi Bari rispose esprimendo parere negativo alla missione del proprio geologo per “motivi di distanza e carichi di lavoro”. Quanto al sistema di monito raggio, dopo il furto dei sensori e del cavo elettrico di trasmissione nel novembre ’97, non fu mai riattivato. Ma quel che è peggio, come fanno osservare Manfrini e Frassinella, è che “le opere di monitoraggio posizionate in loco – scrivono i due professionisti – erano a carattere sperimentale e quindi, in nessun caso, avrebbero potuto evitare mediante l’accensione di un semaforo rosso sulla 45 bis l’arresto dei veicoli in transito prima del verificarsi dell’evento franoso. L’esistenza di uno studio specifico avrebbe potuto individuare il periodo o i periodi dell’anno nei quali era statisticamente prevedibile il riproporsi o il ripetersi di eventi franosi e porvi rimedio con adeguati interventi quali la temporanea chiusura della strada”.I periti della Procura concludono affermando che “l’esperienza su questa e altre strade indica che adeguate opere di protezione poste in opera dall’Anas in siti colpiti da frane hanno evitato che il ripetersi degli stessi producesse conseguenze per persone e proprietà. E le metodologie progettuali ed esecutive necessario per conseguite tale risultato sono state acquisite da decenni”. Ma non sono servite, perché non applicate, sul tratto di strada cancellato dalla frana del 3 febbraio’99.

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