lunedì, Luglio 7, 2025
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Secondo alcune fonti, la fondazione della parrocchiale della località gardesana risale alla moglie del re longobardo Aginulfo

A San Felice la chiesa di Teodolinda

Nel raccolto abitato di San Felice svetta per le sue notevoli dimensioni la parrocchiale intitolata ai Santi Felice e Adauto. L’edificio attuale è il risultato della ricostruzione, avvenuta per decreto del vescovo Giustiniani nel 1749, su progetto dell’architetto Antonio Corbellini, che riprende per la facciata la soluzione già adottata per la parrocchiale di Coccaglio, con l’unica differenza del timpano ricurvo anziché triangolare, mentre l’interno ricorda lo schema della parrocchiale di Orzivecchi, a croce greca e ampi volumi sviluppati sotto la volta centrale. La fondazione della chiesa, come si legge in una pubblicazione del Tavella, già prevosto di San Felice, viene fatta risalire a Teodolinda, moglie del re longobardo Agilulfo, la quale giunse in questa località del Garda insieme al vescovo di Brescia Felice, da cui appunto derivò il nome al paese e all’edificio religioso. Se questo episodio ha molti contorni leggendari, è invece certo che già dal XIV esisteva un edificio di culto, al quale nel 1432 venne concesso il fonte battesimale. La rifabbricazione della parrocchiale comportò l’irrimediabile perdita di un ciclo di affreschi eseguiti dal Romanino nell’antico presbiterio, che raffiguravano il martirio dei due santi, gli idoli atterrati dal soffio di san Felice e i pagani ostacolati dai demoni mentre tentavano di dissotterrare i loro corpi. D’altra parte è ancora conservato sull’altare maggiore un olio su tela dello stesso autore con i santi Felice, Adauto, Antonio Abate, Giovanni Evangelista e Gennaro (la lettura iconografica di quest’ultima figura è dubbia). Sia le pitture perdute sia la tela, sulla cui attribuzione al Romanino alcuni critici in verità discordano, sono databili, sulla base di documenti conservati all’archivio comunale di San Felice che attestano in quel periodo pagamenti al pittore bresciano, al periodo compreso fra il 1532 e il 1536. Altre sono le testimonianze pittoriche degne di attenzione e visibili sugli altari laterali della settecentesca chiesa: adorna infatti il terzo altare di destra la pala di Pietro Ricchi (1606-1675) raffigurante l’Incoronazione della Vergine e i Santi Nicola da Bari, Antonio da Padova, Apollonia e Bernardo di Chiaravalle, attribuita giustamente all’artista nativo di Lucca da Sandro Guerrini, nella quale i richiami alla cultura giovanile dell’artista si uniscono a citazioni raffaellesche (Santa Cecilia alla Pinacoteca di Bologna); un dipinto seicentesco con la Madonna e san Rocco orna l’altare omonimo sulla parete a sinistra; mentre appartate in sacrestia sono la Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina da Siena e una delicata Natività. La prima opera riporta la firma di Giovanni Andrea Bertanza: l’iconografia del dipinto acquisì grande popolarità in seguito alla devozione per la Madonna della vittoria promossa da Papa Pio V, in ringraziamento della vittoria di Lepanto (1571), ricorrenza che venne successivamente intitolata alla Madonna del Rosario. La tela della Natività, in origine collocata nel convento della Madonna del Carmine, poco fuori dall’abitato di San Felice, è ascritta al catalogo del cinquecentesco Zenon Veronese. Le volte della rinnovata parrocchiale accolgono gli affreschi di Carlo Innocenzo Carloni, originario di Scaria della val d’Intelvi, e del suo collaboratore Giosuè Scotti, eseguiti attorno al 1760, che ripercorrono gli episodi salienti della vita dei santi Felice e Adauto (il martirio, la sepoltura, il tentato rapimento, la glorificazione e un miracolo). Le figure, quasi levitanti nello spazio delle cupole, sembrano ulteriormente alleggerire la struttura architettonica interna e conferiscono insieme agli algidi stucchi una luminosità diffusa, che sottolinea il gioco di curvature e rientranze delle pareti. Risaltano inoltre nelle cappelle laterali i marmi versicolori degli altari, fra i quali si ammira quello dedicato alla Madonna del Rosario, con la statua della Vergine e le quindici tele dei Misteri del Rosario, racchiuse in una preziosa cornice. Merita infine menzionare, a conclusione di questa rapida panoramica sugli arredi della chiesa, la mensa dell’altare maggiore: realizzata nel 1856 da Giovanni Emmanueli su progetto di Alessandro Sidoli, è costituita da cinque bassorilievi in marmo di Carrara, alternati a specchiature in bronzo dorato. Le storie scolpite riproducono, oltre agli episodi salienti della vita dei santi titolari, il momento in cui il padre Angelo Moniga, monaco benedettino, presenta al clero di San Felice le reliquie dei due martiri (lato destro) e santa Flavia mentre si lascia condurre al carcere dove sono imprigionati Felice e Adauto (lato sinistro). Riccardo Bartoletti

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