«Deportato, non arrestato, mio padre è stato deportato». È l’unico momento in cui la voce s’incrina, per il resto del colloquio oscilla tra la sofferenza che i ricordi evocano e l’orgoglio per un padre che non ha voluto mancare ad una promessa, e per questo ha pagato con la vita. Maria Grazia Bergognini, 66 anni il prossimo dicembre, vive a Gorizia dal 1947; è la figlia di Giacomo Bergognini l’appuntato dei carabinieri originario di Polpenazze preso nella caserma di Gorizia il 2 maggio 1945 dai soldati jugoslavi e scomparso nel nulla. «L’ultimo ricordo che ho di mio padre – racconta Maria Grazia dalla sua casa di Gorizia dove vive con il marito Franco Postorino, agente di polizia in pensione – è quando venne a trovarci, a casa dei nonni a Castrezzone (è una frazione di Muscoline, ndr). Credo fosse primavera, intorno ad aprile, poi il silenzio, non abbiamo più avuto notizie di lui, nemmeno una lettera, soltanto qualcuno che diceva di averlo visto da qualche parte, ma solo voci. Ci siamo rivolti anche alla Croce rossa, ma è stato tutto inutile». Il nome del padre è spuntato nei giorni scorsi in una lista di oltre mille nomi di deportati dalla Venezia Giulia, consegnati dal governo della Slovenia al sindaco di Gorizia. Arrestati, imprigionati e con ogni probabilità gettati nelle tristemente famose foibe, anche se riguardo a dove siano i corpi le autorità slovene non offrono indicazioni. Maria Grazia non aveva ancora cinque anni quando il padre scomparve. «Ci eravamo rifugiati a Polpenazze dai nonni paterni – racconta Maria Grazia – perchè la situazione si era fatta pericolosa; avevamo abitato fino a poco tempo prima poco fuori Gorizia, a Aidussina, un paesino oggi sloveno. Mio padre aveva pensato di metterci al sicuro, lui invece voleva rientrare, gli avevano dato una licenza per venirci a trovare con la promessa che sarebbe tornato in caserma a Gorizia; poteva restare con noi, ormai la guerra era finita, invece lui ha voluto mantenere la promessa, è tornato e l’hanno arrestato». Sposato con Olga Velleni – nata nel 1917 a Parenzo in Istria – dal 1940, Giacomo Bergognini aveva indossato la divisa di carabiniere nel 1930, assegnato alla Legione di Trieste; l’incontro con la futura moglie mentre prestava servizio nella caserma di Parenzo, il successivo trasferimento in un clima di forte tensione, tanto da convincere Giacomo dell’opportunità di mettere al sicuro Olga e la piccola Maria Grazia. «Dopo la scomparsa di mia padre siamo tornati in Istria dai miei famigliari; poi a Gorizia, avendo la mamma optato per la cittadinanza italiana. È stata difficile la vita, certo non è mancata la solidarietà tra le famiglie che avevano vissuto lo stesso dramma nostro, l’Arma ci è stata vicina, ma sotto il profilo economico abbiamo dovuto arrangiarci, mia madre ha trovato un lavoro. Anche avere casa non fu cosa facile; la precedenza andava alle famiglie numerose. I legami con Brescia? Per alcuni anni tornavamo a trovare i nonni, fino a quando sono rimasti in vita. Adesso abbiamo ancora dei cugini che abitano a Desenzano, Villanuova; un cugino carabiniere in pensione vive a Cento in provincia di Ferrara». Che cosa significa crescere sapendo del proprio padre un giorno scomparso nel nulla? «Si cresce senza la figura paterna che è un punto di riferimento, senza aiuti economici, da soli. Mia madre ha fatto tanti sacrifici, mi ha fatto studiare, sono stata insegnante elementare per quarant’anni». Ora che il nome di suo padre è emerso da questo elenco che cosa pensa? «Si rivive un po’ tutta la propria vita che sarebbe stata molto differente; e poi ad aumentare il dolore c’è che tutto questo è accaduto a guerra finita». A Gorizia per anni una rete metallica ha diviso gli italiani dalla Slovenia, allora una delle repubbliche della federazione jugoslava. È stato il muro dei friuliani, ben più longevo di quell’altro muro, di Berlino. «Fino a pochi anni fa era ancora lì; andavi al cimitero di Gorizia e quando uscivi vedevi le guardie oltre la rete». Mamma Olga se n’è andata nel 1988, sperando fino all’ultimo che qualcuno le dicesse della sorte toccata a suo marito. «Ora andrò a leggere gli elenchi messi a disposizione in prefettura a Gorizia – confida Maria Grazia – per vedere se dicono qualcosa di più su mio padre, ma temo che non sarà così. Il desiderio più forte è sapere dove sono i suoi resti, se è possibile dare loro sepoltura». Maria Grazia Bergognini ha tre nipoti: ha mai raccontato loro questa storia? «Sono troppo piccoli, ma quando passiamo davanti al monumento nel parco delle Rimembranze di Gorizia che porta il nome di tutte le persone scomparse, loro corrono perchè sanno che li sopra c’è anche il nome del bisnonno».