venerdì, Aprile 19, 2024
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Un pesce speciale e voracissimo che non si è mai adattato in altre acque diverse da quelle del Garda. Tanto pregiato che un tempo veniva spedito a Costantinopoli, in Francia e nelle Fiandre e che si nutrì del tesoro rubato dai banditi

Il fantastico carpione dalle squame d’oro

Non è una novità: il lago di Garda ospita nelle sue acque un pesce specialissimo – il carpione – che invano si tentò di far vivere in altri laghi. È simile alla trota, di color bianco argenteo picchiettato di rosso. Esso, nel periodo degli amori scende a notevoli profondità (300 metri) e la deposizione delle uova viene fatta in massa da gruppi di femmine su fondi ghiaiosi o rocciosi del lago, in acque limpidissime e mosse da correnti continue. Il carpione ebbe in antico grande fama, tanto che gli Statuti Veronesi ne vietarono la vendita fuori dalla regione benacense. Bucellini in un suo poemetto del 1821, lo definisce «soave carpione, fiore de’ pesci». Nei secoli trascorsi poeti e prosatori scrissero le lodi di questo pesce e la gente ricca, attratta dalla propaganda letteraria, si recava apposta sulle rive del Benaco per gustarlo facendolo cuocere appena levato dalle reti. In una lettera di Pietro Aretino del gennaio 1546 all’amico avvocato Brenzone, proprietario della Punta di San Vigilio, si legge: «Da che i carpioni si nutrono d’oro, ringraziovi di quegli che mi avete mandato come dono aureo». Insomma, tale era la fama del carpione che in antico lo si spediva perfino a Costantinopoli, in Fiandra e in Francia. Sulle squame d’oro del carpione c’è una leggenda che narrano appunto i pescatori del Garda. Questa: «Fra Desenzano e Peschiera, nella località chiamata Lugana, ha il suo covo, dentro una fitta boscaglia, una tribù di terribili predatori armati fino ai denti. Una notte essi escono dalla foresta per una scorreria a Torri del Benaco: vogliono saccheggiare il paese, che sanno ricco d’argento, d’oro e di pietre preziose. I ladri salgono su una barca e fanno vela sul lago buio, prima che si levi la luna». «Balzano a terra a Torri», continua la leggenda, «e cominciano il saccheggio. I barcaioli danno l’allarme e le campane suonano a martello. In breve il paese è messo a soqquadro e nella tenebra si impegna una zuffa tremenda tra i torresani e i predatori». «Presto un suono di corno echeggia cupo nell’aria: è il segnale della ritirata. E in breve i briganti si dileguano: la vela nera della loro barca si profila sul cielo e si allontana velocemente al soffio della brezza notturna. Magnifico il bottino: nel fondo del veliero l’oro giace ammucchiato e scintilla ai vividi bagliori sotto i raggi della luna». «Infatti la luna s’alza quella notte insolitamente luminosa e il suo chiarore desta un mostro immane – il Drago, il famoso Drago – che dorme giù nei recessi del lago. Esso manda un sibilo acuto, lancinante… Colti da terrore, i ladroni s’agitano nella barca disordinatamente; la barca, già stracarica d’oro, in un attimo si capovolge e affonda con tutta la ciurma, vittima della propria malvagità». «Dopo il naufragio, l’oro giace sul fondo del lago e il suo bagliore attrae i carpioni che nuotano nelle acque. Si sa che i pesci sono voracissimi. La golosità dei carpioni li induce a cibarsi perfino dell’oro dei briganti colato a picco. Ecco perché essi, dopo la leggendaria abbuffata, hanno le squame dorate e lucenti».

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