«I giardini di limoni del lago di Garda» è il titolo del volume di Leila Losi, professoressa ora in pensione, presentato nel salone del centro sociale di Salò. «Un’opera stampata in tre lingue, che sarà molto richiesta dai turisti», dice Gualtiero Comini, assessore alla cultura. «Leila – aggiunge il sindaco Giampiero Cipani – ha colto nel segno ancora una volta. L’anno scorso si è aggiudicata il premio degli Amici del Golfo, per avere scelto il nome più bello (le Antiche Rive) da attribuire alla nuova passeggiata a lago. Con questo volume dimostra di essere un’amante del territorio. La sua ricerca va al di là del semplice censimento, che, tra l’altro, documenta come alla fine dell’Ottocento tra Salò e Barbarano ci fosse la maggiore concentrazione di limonaie che sul resto della riviera. Poi il turismo ha occupato gli spazi esistenti. Fortunatamente alcune si sono salvate, seppure in altre località. E Losi invita noi amministratori a mantenere e tutelare quelle rimaste». Riccardo Minini, assessore a Palazzo Broletto: «Le spiagge assolate, il clima mite, la vegetazione mediterranea fanno del Garda una sorta di piccolo mare. Un luogo in cui natura, arte, cultura, sport e benessere si fondono per dare al turista un’offerta davvero unica. In questa meravigliosa cornice si inserisce una realtà davvero singolare: i giardini di limoni. CostruitI a scopo ornamentale verso il XV secolo da ricchi e nobili possidenti di palazzi, divennero presto una vera attività commerciale. Di tali bellezze rimangono alcune testimonianze murarie, simbolo di lavoro, fatica e sviluppo economico. L’attento studio della professoressa dà modo di capire la genesi, lo sviluppo e la localizzazione. Nell’ultimo capitolo vengono raccolte le ricette basate sull’utilizzo degli agrumi». Paolo Rossi, presidente provinciale degli albergatori: «Siamo talmente abituati a vivere nel bello che non ci accorgiamo dell’esistenza di cose straordinarie. Se queste architetture fossero in Francia o Inghilterra le pubblicizzerebbero in mille modi». In seguito è intervenuto Marcello Riccioni, conservatore della Civica raccolta del disegno. Alla fine Losi ha effettuato una cavalcata nel tempo e nelle varie località. Nel 1803 la produzione era di otto milioni di limoni (più del 50% a Gargnano). In zona se ne consumavano appena 300mila. Tutti gli altri venivano esportati: centro Europa, nord, est, fino a Mosca, Pietroburgo e Varsavia. Nel XV e XVI secolo molti mercanti ebrei giungevano da paesi lontani per comperare grosse quantità di cedri, da usare per la festa dei Tabernacoli. In precedenza i Romani lo apprezzavano come rimedio contro dermatiti, eritemi, rogna, veleni, peste e altre malattie dell’apparato digerente. Il liquore è ancora oggi confezionato dalla Cedral Tassoni di Salò, ma i frutti provengono dall’Italia meridionale. Nel 1855, nel momento di maggiore espansione (nove-dieci milioni di «pezzi»), una terribile epidemia, la gommosi, ridusse il raccolto a un terzo, e rovinò molte famiglie. Un vero efficace rimedio fu trovato da Francesco Elena di Maderno che, nel 1873, innestò il limone sull’arancio amaro: l’esperimento riuscì. Ma la situazione continuò a peggiorare, e la coltivazione fu gradualmente abbandonata. Con la prima guerra mondiale le autorità militari requisirono il legname usato per coprire le serre. Lo adoperarono per costruire baracche e trincee sulle vicine montagne del Trentino. Nella seconda metà del XX secolo il cemento ha rosicchiato la costa. E i caselli, vale a dire i magazzini dei limoni, trasformati in residenze estive. Spesso nelle cole sono state ricavate piscine. Losi ha infine illustrato nei dettagli tutte le strutture rimaste sulla sponda occidentale: da Villa Elena a Gardone Riviera fino a Limone.
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Il volume di Leila Losi è stato presentato nel salone del Centro sociale. Nell’Ottocento si producevano ben otto milioni di frutti