martedì, Aprile 16, 2024
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Un’inchiesta del laboratorio Spazio Donna sulla tragedia che aveva colpito il Polesine

La grande alluvione cinquant’anni dopo: i testimoni ricordano

A cinquant’anni dalla tragedia causata dall’alluvione nel Polesine, il laboratorio Spazio Donna di Ponte San Marco ha condotto una inchiesta su testimoni di quell’epoca per sapere cosa ricordassero, ponendo i fatti allora accaduti in relazione con quanto avvenuto nel mese di novembre scorso nelle zone del Piemonte, della Liguria e della Lombardia. La ricercatrice Anna Pasqualini ha intervistato diverse donne che, per un motivo o per l’altro, conservano memoria di quei lontani fatti. «Matilde era una bimbetta di 9 anni e abitava a Ghedi – esordisce Anna Pasqualini nella esposizione della sua inchiesta, che tra l’altro è stata ospitata nell’ultimo numero di “Informanziani” (l’allegato per la terza età del periodico dell’amministrazione comunale di Calcinato) -. La sua casa era vicina alla scuola, così potè vedere e vivere quei giorni facendosi coinvolgere emotivamente. Ricorda che l’edificio scolastico fu adibito a ricovero per le disgraziate famiglie che avevano perso tutti i loro averi nella piena. Matilde ricorda anche la mamma, quando chiamò attorno a sé i sette figli e disse loro di andare a scegliere fra i giocattoli e gli abiti un pezzo ciascuno da donare ai piccoli colpiti dall’alluvione». La famiglia di Matilde diede ospitalità ad una bimba, anche lei di 9 anni. Le mamme degli alluvionati preparavano da mangiare usando la cucina della scuola. «Un brutto giorno Matilde si ammalò e ancora oggi ricorda con rammarico di avere vissuto il suo forzato allontanamento dalla scuola con dispiacere, perché non aveva più modo di vedere la nuova amichetta. Parecchi alluvionati si stabilirono nel territorio, trovando accoglienza e lavoro, potendo così ricostruire la propria vita». Un’altra testimone di quei giorni è Anna. «Nel 1951 aveva vent’anni e nell’estate di quell’anno aveva conosciuto un ragazzo del quale si era innamorata subito. I loro incontri si protrassero oltre il periodo delle vacanze, si incontravano sovente e avevano una infinità di cose da dirsi. In Anna il sentimento crebbe sempre più finché, improvvisamente, nel mese di novembre, il giovane non si fece più vedere. La delusione fu grande e inspiegabile. Reprimendo sospiri e lacrime, Anna decise di non pensarci più. Trascorse novembre. Si stava avvicinando Natale quando il giovanotto riapparve. Con aria imbarazzata cominciò a spiegare il motivo della sua lunga assenza: era stato in Polesine con il suo principale. Chiese ad Anna di perdonarlo. Anna – sottolinea la ricercatrice – rispose di sì immediatamente. Sono moglie e marito da 44 anni». La ricerca si conclude con la testimonianza di Lidia, che merita un particolare riguardo. «Ho faticato a strapparle le parole. Era evidente che il ricordo la faceva soffrire ancora. Dice di avere sempre dentro di sé il mugghiare dell’acqua che avanzava travolgendo tutto. Aveva circa 11 anni, abitava a Contarina, Rovigo, in una casa a due piani. Il piano inferiore fu invaso completamente dall’acqua e, quando questa si ritirò, lasciò dietro di sé più di mezzo metro di fango melmoso e puzzolente, a causa della gran quantità di animali morti annegati». Lidia ricorda la gente accampata sugli argini e altra gente che, ostinatamente, restava rinchiusa nelle case per difendere quel poco che era rimasto. «Con una sua amica andava in barca di casa in casa a prendere le ordinazioni per i rifornimenti. Non si rendeva conto del pericolo, era come un gioco, era eccitante riuscire a governare la barca in mezzo al fiume impetuoso. Lo stesso fiume che trascinava verso il mare carcasse di animali. Passò il Natale. Lidia non ha voluto dirmi come, deve essere stato un Natale molto triste. Il 2 gennaio 1952 spedirono lei e altri bambini in colonia a Cesenatico. Arrivò la Befana e portò loro dei vestiti. Lidia scrisse una lettera a suo padre raccontandogli dei regali e di come viveva in colonia. Suo padre non tralasciava mai di ricordarle quanto dovevano essere grati alle persone che la ospitavano. Lidia afferma che la solidarietà fu spontanea e generosa». Bologna, Torino, Novara, furono le città che aiutarono maggiormente gli alluvionati. Ma il paese di Lidia non fu più ricostruito. «Perché i costi erano troppo elevati».

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