domenica, Aprile 28, 2024
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Erano veramente ruggenti quegli anni, e non soltanto perché appartengono alla dimensione leonina della giovinezza. C'erano i motori, sfreccianti e rombanti, c'era il circuito cittadino.

Quella mitica e mai scordata corsa del Circuito del Garda!

Erano veramente ruggenti quegli anni, e non soltanto perché appartengono alla dimensione leonina della giovinezza. C’erano i motori, sfreccianti e rombanti, c’era il circuito cittadino, il Circuito del Garda di Salò. Non so quando sia iniziata questa tradizione motoristica: ho scoperto che ne parla nelle sue memorie anche il regista Luigi Comencini, che a Salò nacque e visse i primi anni della sua infanzia, prima che la famiglia emigrasse in Francia.Delle edizioni degli anni ’50, quelle con Villoresi e Moss, conservo solo qualche immagine eterea, dello stesso materiale di cui sono fatti i sogni. La partenza avveniva sulla «strada alta», come allora si chiamava la strada che passa sopra il paese.Ricordo invece bene le ultime edizioni, quelle dei primi anni ’60, quando la cosiddetta formula Junior stava per essere ribattezzata Formula 3. La primavera lacustre, vivida di colori ma sempre un po’ sonnolenta, veniva all’improvviso squassata dal fragore dei motori e nell’aria si respiravano gli odori acri della benzina e dell’olio. Per alcuni giorni il paese veniva travolto da questa sagra-sarabanda a quattro ruote.Attorno alla corsa non c’era queir aria misterica hitech di cui si fregia oggi la formula 1. Tutto era più ruspante e la carovana dei piloti aveva un che di zingaro. Molti non si potevano nemmeno permettere il lusso del meccanico al seguito, arrivavano con la sola vettura sul carrello. Noi ragazzi, che portavamo i calzoncini corti, facevamo il giro delle officine e dei garage per annusare e toccare protagonisti e belve di questo circo. Da Silvestrelli, in via Garibaldi, ho visto Andrea De Adamich, occhialuto e distinto come adesso appare in tv: qualche anno dopo sarebbe andato alla Ferrari. In fondo al lungolago, dove allora c’era un’officina, ho incontrato «Geki», pseudonimo di triste ragazzo italiano che allori veniva additato come emergente. Nel lotto dei concorrenti c’era anche Mario Poltronieri, futuro commentatore Rai, oggi in pensione.La punzonatura si svolgeva il venerdì pomeriggio nel campo di calcio sterrato dell’oratorio. Sabato mattina le prove. Domenica la competizione: prima due batterie, poi la finale. La linea del via era in via Brunati, alla stazione degli autobus, i box in Fossa. I bolidi arrivavano al Brolo, curva ad «u» e micidiale imbuto di tamponamenti, puntavano su Tormini, giravano verso Cunettone e scendevano dai tornanti delle Zette per tornare in paese. Mimmo Lo Coco, allora protagonista di duelli gagliardi oggi commerciante di preziosi tappeti, recentemente mi ha detto che quello di Salò era il miglior circuito cittadino del mondo, meglio ancora di Montecarlo.Gli crediamo: quanto a varietà di percorso, non aveva rivali. Quanto a sicurezza, anche, nel “senso che solo qualche balla di pagliai e qualche transenna di legno ci hanno protetto dalla tragedia. I cortei di folla ai bordi erano immensi: a ripensarci vengono i brividi.Un anno il favorito era l’inglese baffuto Colin Davis con la sua Fiat-Stanguellini, ma all’improvviso arrivarono le Lotus, che erano dei sigarini sintetici, con i loro piloti intubati nell’abitacolo e i loro potenti motori Ford Cosworth. Era la rivoluzione vincente imposta da un geniale costruttore inglese, tale Colin Chapman. Lo stesso che nella formula maggiore lanciò il grande Jim Clark. A Salò vinse uno svizzero, Siffert, che sarebbe diventato famoso.Ricordo ancora Maglia, un francesine in sandali da frate e T-shirt con la sua Lotus rossa, tutta ammaccata e ridipinta alla buona. Era spericolato e velocissimo. Ricordo Acnalam, ovvero Malanca, mantovano simpatico e folle: di lui circolava la leggenda metropilitana secondo cui, appena sedicenne, durante una delle ultime Mille Miglia, si fosse immesso nella corsa clandestinamente con un numero dipinto a calce. Ricordo che alcune notti non si poteva dormire perché le Abarth 1000 (per due anni a Salò ci fu anche la prova mondiale di categoria) provavano sulle Zette alla presenza del grande Carlo, ingegnere ad honorem e arrangiatore di Fiat 500 trasformate in missili.E nell’archivio della memoria ritrovo Ludovico Scarfìotti, un gentiluomo votato ad un drammatico destino, il pilota salodiano Rovida, autore di imprese eroiche, infine un altro francese, Schlesser, con la sua Brabham azzurra. L’ultimo anno vinse un inglesino di Roma, Jona-than Williams, su De Sanctis-Ford, la risposta italiana allo strapotere ‘ delle macchine d’oltremanica.Poi le corse cittadine vennero proibite. Geki, Siffert, Scarfìotti, Maglia, Schlesser sono morti in incidenti in corsa o in prova. Quegli anni sono diventati un mito. E i veri miti sono irripetibili, non seriali. Solo Fellini,. nel suo Amarcord, ha saputo cantare (per lui era il passaggio delle Mille Miglia) l’epopea di una gara automobilistica di «strapaese». Con le sue attese, le sue emozioni e la sua poesia futuristica.

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