venerdì, Aprile 26, 2024
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Recenti studi localizzano il sito medievale in corrispondenza di un toponimo che fino ad oggi sembrava invece derivare dal nome del figlio di Noè

A Sem l’antica Cemo, tra il fango e il letame

Ogni tanto, dal sonno che hanno dovuto dormire, in dimenticate carte d’archivio riaffiorano le memorie di luoghi che ebbero qualche fama in tempi remoti, ma di cui il fluire dei secoli ha fatto smarrire le tracce. È il caso di Cemo, località delle colline bardolinesi, di cui parlano documenti medievali. Ebbene: l’antica Cemo oggi è stata ritrovata. Per cercarne le tracce occorre salire sulla Rocca. La strada si inerpica a tornanti tra le vigne, i cipressi ne delimitano il tracciato. Passato l’ex priorato di San Colombano e giunti all’altezza della trattoria al Bersagliere, si imbocca la stradicciola che porta al Tusini, la scuola dei salesiani. Prima dell’istituto, ecco il cartello della «strada di Sem». Quello di Sém è il nome con cui è conosciuta una porzione dei «monti» di Bardolino. In prima battuta, molti pensano che faccia riferimento al biblico Sem, figlio di Noè. Del resto, questa è zona vinicola, e la tradizione attribuisce a Noè il ruolo di viticoltore ante litteram: fu lui il primo a piantare una vigna e sperimentare l’ebbrezza prodotta dal vino. Il patriarca aveva cinquecento anni quando generò Sem, Cam e Iafet, che popolarono la terra dopo il diluvio. Ma in realtà con la Rocca non c’entrano né Noè, né il figlio Sem. In realtà Sem è la contrazione del nome dell’antica Cemo, di cui si parla in un documento del monastero di San Colombano di Bobbio datato 1198. Vi si legge di una pezza di terra «iacente in Cemo ante arcem Garde», ossia «situata a Cemo, prima del castello di Garda». Ad ipotizzare che il Sém della Rocca di Bardolino corrispondesse alla perduta Cemo medievale è stato il professor Fabio Gaggia in un volume del ’95 dedicato al «Mulino dei padri camaldolesi». E chissà se proveniva dalle colline bardolinesi quel Montenarius de Cém che è citato nel «Breve recordationis de terris ecclesiae Santi Colombani», l’elenco delle terre gardesane del monastero di San Colombano date in affitto nella seconda metà del dodicesimo secolo. Quel tal Montenarius aveva ottenuto in conduzione un mansio, ossia una campagna, e s’era impegnato a versare canoni cospicui in uve ed olive, più una spalla di porco da consegnare a Natale, un cappone a carnevale, ventiquattro uova a Pasqua e i pasti agli uomini impegnati nella vendemmia. Ancora nel 1680, come ha riferito Bruno Chiappa in un convegno del ’96, i monaci di San Colombano avevano una ventina d’appezzamenti nelle pertinenze di Bardolino: nell’elenco c’era anche Cemo. «Per l’etimologia del toponimo Cemo (attualmente Sém) ci sono almeno due interpretazioni», scrive Gaggia. La prima la si ricava dal «Vocabolario toponomastico della provincia di Brescia» dello Gnaga, che ne vorrebbe la derivazione dal bergamasco «sém», che signfica «cima». In un testo inedito del gardesano Pino Crescini si ipotizza invece che il nome provenga da un incrocio di termini latini: «caenum», che vuol dire «fango», e «fimum», ossia «letame». Secondo l’ipotesi di Crescini si tratterebbe insomma di un «luogo paludoso» frequentato da animali in pascolo libero. Che sia questa l’origine dell’antica Cemo?

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