venerdì, Aprile 26, 2024
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Il professor Chiarini risponde alle critiche sulle «targhe» degli edifici storici

Repubblica di Salò: «Nessuna esaltazione»

Sul Garda il presidente del Centro studi e documentazione sul periodo storico della Repubblica sociale italiana, professor Roberto Chiarini, replica allo studioso Gaetano Paolo Agnini che aveva intravisto intenti celebrativi nella decisione del Centro di installare targhe informative sugli edifici che, dal ’43 al ’45, ospitarono le sedi della Rsi.«Sono consapevole che segnalare a Salò i luoghi che furono sede dei ministeri della Repubblica sociale espone al rischio di monumentalizzare l’evento» – esordisce Chiarini -. Ma si tratta semplicemente di targhe indicanti la collocazione sul territori di diversi organismi e istituzioni della Rsi. Dovendo indicare dove si trovavano, ad esempio, le sedi dell’Ispettorato della Razza, del Ministero della cultura popolare o dell’Ospedale militare degli ufficiali tedeschi, abbiamo scelto la via più asettica».«Poi – osserva lo storico – io ho una certa fiducia nelle capacità di giudizio dei cittadini che comprendono bene come con questa iniziativa non si intenda esaltare quel periodo storico. Non a caso, nello stesso giorno di apertura di questo itinerario fra i luoghi della Rsi, abbiamo inaugurato al Fondaco Coen, sempre a Salò, una mostra sull’Olocausto (visitabile fino alla fine di febbraio), da noi allestita con la collaborazione di Michele Sarfatti del Centro di documentazione ebraica contemporanea».«Recentemente – preannuncia infine Chiarini – ho terminato di scrivere una storia della Repubblica di Salò, che verrà presto pubblicata. In essa cito l’esempio del regista Clint Eastwood, che nel suo film “Iwo Jima” cerca di capire le ragioni dei giapponesi sconfitti dagli americani. Ora, io credo che la Rsi non sia stata solo un’accolita di sanguinari (lo furono senz’altro i membri della banda Koch). I volontari al servizio di Mussolini furono una corposa minoranza, per lo più composta da fascisti che confondevano la difesa del regime con la difesa della patria. La maggioranza dei soldati repubblichini furono invece giovani cresciuti nel fascismo, educati dal regime, che si trovarono a dover scegliere fra la morte per diserzione e l’arruolamento. Oggi il nostro dovere è quello di comprendere le ragioni per le quali ciò poté avvenire. E credo che l’antifascismo che nel dopoguerra ha ghettizzato i ragazzi di Salò non abbia fatto un bel servizio alla democrazia, perché molti di quei giovani non furono altro che vittime della storia».

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