giovedì, Maggio 2, 2024
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Sindrome dei Balcani. Nuovi dubbi sugli ordigni sganciati nell’aprile ’99 da un caccia e mai trovati. Setacciati due terzi del basso Garda, ma i tecnici sono scettici

Bombe nel lago, giallo all’uranio

È il 16 aprile 1999, sono i giorni della guerra nel Kosovo. Un F15 della Nato, in difficoltà per mancanza di carburante dopo un’improvvisa chiusura della base militare di Aviano, si alleggerisce sganciando due serbatoi sui monti del vicentino. Poi, passando sul Garda, lascia cadere sei bombe nel lago: tre a guida laser e tre a grappolo. Alla fine atterra all’aerobase di Ghedi. Le polemiche di allora riemergono oggi, per la vicenda dell’uranio impoverito e delle morti sospette dei militari che hanno operato in Kosovo e, prima ancora, in Bosnia. Alberto Giorgetti, deputato di Alleanza nazionale, ha presentato un’interrogazione in Parlamento. «La Nato – ricorda Giorgetti – non ha voluto fornire alcuna informazione circa la localizzazione e le caratteristiche delle bombe. Le ricerche non hanno dato alcun risultato, nonostante siano state condotte con sofisticate tecnologie. Nessuno esclude che le bombe contengano uranio impoverito». Il deputato chiede di sapere se «il Governo abbia ricevuto comunicazione dagli Stati Uniti e se, in caso contrario, non intenda accertare l’esistenza di un reale pericolo». Ultima domanda: «Quali azioni immediate e urgenti si intendono promuovere per localizzare le bombe e procedere al loro recupero?». A Riva del Garda il consigliere comunale Salvador Valandro ha presentato una mozione. «Decine di ragazzi militari italiani – scrive – impegnati nella ex Jugoslavia si stanno ammalando o, peggio, morendo. Uccisi da armi che sembra assurdo e macabro definire amiche. Chiedo al sindaco di attivarsi presso il ministero degli Esteri, della Difesa e il Presidente della Repubblica, affinché venga tutelata la salute e la vita di quanti sono impegnati in quelle zone, compresi i volontari civili». Velandro sollecita poi «una relazione dettagliata sullo stato delle bombe sganciate nel lago». Fa anche una proposta: «I contributi indirizzati alle associazioni degli ex combattenti vengano così destinati: una parte alle famiglie dei giovani militari morti nei Balcani per cause ancora ignote, e il resto alla Comunità del Garda, per commissionare una perizia tecnica», riguardante i pericoli del materiale che giace sui fondali. Molto probabile che gli ordigni sganciati dall’F15 americano non siano all’uranio. Il materiale radioattivo era infatti impiegato sugli A10 statunitensi e sugli Harrier inglesi AV 8B. Però si vorrebbe conoscere la verità. «Forniremo la mappa dei proiettili in Kosovo», ha dichiarato Mark Leaty, portavoce della Nato. Chissà se l’affermazione vale anche per il Garda. «Esiste la possibilità, più o meno concreta, della rottura del contenitore, detto canister, all’impatto con l’acqua, e la contemporanea presenza di numerose bomblet, che possono essersi armate sulla base di una semplice rotazione», affermava nel giugno ’99 il procuratore di Brescia, Giancarlo Tarquini. Parlava delle bombe a grappolo o a frammentazione o cluster, tre delle sei sganciate, che possono aprirsi liberando (ciascuna) 200 bombette. Le quali, se non scoppiano all’impatto, sono pericolose come mine antiuomo. Chiedere ai tre pescatori di Chioggia rimasti feriti per l´esplosione di uno di questi ordigni gialli, poco più grande di una lattina Fanta. Pescato con le reti, era scoppiato sul ponte della loro imbarcazione. Ieri, in un’intervista al quotidiano «L’Adige» di Trento, due dei quattro tecnici nominati dallo stesso procuratore Tarquini per seguire e coordinare le ricerche eseguite dalla Marina militare italiana, hanno escluso la presenza di bombe all’uranio impoverito. Luigi Biscardi, comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Brescia, ha dichiarato: «No, non ci sono bombe di questo tipo. E, anche se ci fossero, avrebbero la pericolosità di comuni pezzi di ferro. Dopo tanto tempo non si è trovato ancora nulla perché la zona è profonda. Il fondale, ricoperto di fango, non è per niente limpido. Inoltre non si conosce il punto preciso di sgancio. Ha operato una squadra formata da quattro, cinque uomini: sub dotati di tecnologie, sonar e altro. L’aereo è entrato sopra il lago da punta san Vigilio, uscendo a Sirmione». Il tenente colonnello Paolo Giaretta, capo servizio controllo spazio aereo dell´aeroporto di Villafranca, un altro esperto scelto dal pm di Brescia: «Abbiamo già setacciato due terzi del basso lago, una grande fascia. I sub della Marina militare hanno fatto un gran lavoro, iniziando vicino alle coste e spostandosi gradatamente verso le acque più profonde. Risultati? La scoperta di centinaia di residuati bellici, non le bombe della Nato. Non credo che la squadra abbia intenzione di continuare a lungo, dato che il grosso del lavoro è sull´Adriatico».

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