domenica, Dicembre 8, 2024
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Carlo Avigo i rubinetti e l’animo verdiano

Esplorare il proprio paese al di là dalle vie, vicoli e piazze, solo per incontrare persone che ne fanno parte, in un tessuto fatto di lavoro, di impegni e di passioni, porta con facile previsione, alla scoperta di persone che sono diventate personaggi. Stavolta il personaggio è Carlo Avigo (nella foto a lato). Lui si lascia incontrare dietro ad una vecchia cinepresa a dare un significato di amicizia in un incontro conviviale tra vecchi amici in una altrettanto vecchia osteria dove la celebrazione di un incontro diventa un evento e come tale è documentato e diventa viva testimonianza di amicizia, allegra e da documentare.

La cinepresa dei ricordi poi diventa una fiumana da inseguire con il piacere di sentirsi appagato per esservi entrato. Carlo nasceva in una famiglia di lavoratori, quando la gente viveva lontano dalle diavolerie di oggi e le persone erano più vicine tra loro; il padre muratore spesso emigrato all’estero per il suo lavoro, uno zio cameriere, e l’altro zio soprannominato Binda (allora il tifo sportivo era pura schiettezza!), idraulico e dal quale ha appreso il suo mestiere, lavoratori e affiatati i tre fratelli che erano spesso assieme tra di loro e, per questo, furono allegramente soprannominati “ratelli Bandiera”.

Carlo Avigo e un rubinetto (1)Nel 1949 a dodici anni, finite in fretta le scuole, impara con lo zio idraulico ad arrotolare il “canèf” sui tubi e poi avvitare rubinetti, professione che esercita ancora un poco, tanto per tenersi allenato con figlio maschio al quale ha insegnato il mestiere, mentre le tre figlie femmine hanno anche loro note musicali nel sangue. Come molti allora e tuttora, prova a imparare a suonare uno strumento nella Banda musicale di Desenzano, che è diventata poi una fucina di allegri suonatori e di artisti, si appassiona al flicorno, il flicorno tenore che ha la prevalenza nella lirica proprio come un tenore in carne ed ossa. Facile la conseguenza che diventa passione: la lirica e quella di Verdi in particolare. Il regalo di un libro su Verdi da parte della sua fidanzata, oggi sua moglie, è stata la seconda scossa che lo ha portato ad una profonda conoscenza della musica e di Giuseppe Verdi in particolare.

Basti dire che, poco tempo fa, ricordo di aver chiesto ad una delle sue figlie dove fosse suo padre, che non avevo incontrato in una delle manifestazioni del paese, ottenendo, con un sorriso, la risposta “Oggi è domenica, è andato a Busseto”; questa è proprio la prova provata della sua passione. Ascoltarlo mentre racconta è come essere all’opera, sulle note si spazia tra la Traviata, l’Aida, il Nabucco e ci si perde nell’attraversare i prati attorno a Busseto apprendendo di un Verdi appassionato agricoltore e di rara cultura anche in quel settore, ma pare di sentire, attraversando un giardino, la Sinfonia da la Forza del Destino e il canto del tenore a intonare “Oh tu che in seno agli angeli”. Nella sua esperienza e presenza nei luoghi Verdiani ha avuto momenti, quasi una sindrome di Stendal, dati dall’intensità dell’emozione vissuta, del resto questo è condivisibile anche da noi perché la musica prende e molto sorprende.

Episodio e passione che lo ha portato fino ad essere riconosciuto nelle sue numerose visite da un appassionato ed anziano fra i ciceroni di quei siti, tanto che costui, poi lo invita ad essere pure lui a condurre i visitatori magari soltanto per i giardini. Carlo così poteva scorrere la domenica, incontrando Ernani ed Elvira, osservare di lontano i Lombardi alla prima Crociata e soggiacere all’intensa evocazione del Temistocle Solera nel canto dedicata “O mia patria, si bella e perduta”, vagando fra il canto degli Ebrei e gli applausi delle platee e dei loggioni fino all’acclamare quel “Viva Verdi” fino a diventare simbolo del Risorgimento, di quegli altri Fratelli Bandiera, quelli nazionali non solo desenzanesi. Va citato un altro episodio quando il nostro Carlo incontra a Busseto nel giardino, un visitatore proveniente dagli Stati Uniti, in italo americano appassionato che ha subìto anch’egli la sindrome di Stendhal per la forte emozione provata; hanno fatto amicizia e si sono appartati per ore in un vicino ristorante (il mitico Baratta!) rincorrendo, fra il tintinnio dei bicchieri, le note delle opere verdiane da entrambi ben conosciute. C’è un storia in più, fra la tante e da citare, e questa è solo umana oltre le note del pentagramma e è una vicenda che ne testimonia l’assoluta onestà. Succede che un giorno nel lavorare attorno ai suoi rubinetti nel bagno della casa di un cliente, si trova a scoprire un piccolo pacchetto di banconote messo in un nascondiglio.

Prontamente lo consegna alla proprietaria, che esprime meraviglia e ringrazia. Si è saputo poi che la meraviglia di quella signora era soprattutto perché quel denaro era lì nascosto dal marito, non per sottrarglielo, ma per evitare che questa spendesse troppo. Episodio di vita serena di paese anche questo, forse il dialogo tra coniugi non era proprio lineare, ma era comunque un modo forse inusuale ma comunque di risparmiare. Carlo torna come sottofondo assoluto a Giuseppe Verdi, nella sua comoda casa ha scaffali di libri, dischi e spartiti, se ne ricava di lui l’immagine di una sua rara cultura anche attraverso la musica e quella del Cigno di Busseto in particolare, ma non esclusiva perché i contatti che ha qui a Desenzano, dove abitiamo, lo portano a dialogare alla pari con tutti. Questo, riferisce con orgoglio, lo deve al suo aver vissuto la scuola di musica come una casa, una casa di famiglia, all’aver sgobbato lavorando, all’aver dialogato con tutti e con il rispetto appreso dai nostri padri. Poi torna a Busseto e dice che per lui è come se andare in un santuario, e quando lo incontriamo ci racconta le sue sensazioni fra le cose del nostro Paese attraverso una melodia, una sinfonia, viene poi da intonare insieme un coro e farsi accompagnare dal suo flicorno ”tenore”. (Nell’immagine in alto: il Museo di Verdi)

Alberto Rigoni – Rigù

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