sabato, Dicembre 2, 2023
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Coltivazione segreta di tartufo nero pregiato

Sul Monte è entra­ta in pro­duzione la pri­ma colti­vazione di tartu­fo nero pre­gia­to. La notizia è per cer­ti ver­si clam­orosa: potrebbe rap­p­re­sentare una svol­ta impor­tante per l’a­gri­coltura baldense. Il tartu­fo, si sa, spun­ta prezzi inter­es­san­ti. Soprat­tut­to se si trat­ta del Tuber Melanospo­rum, meglio noto come tartu­fo nero di Nor­cia, ma in realtà pre­sente da sem­pre anche in area mon­te­bal­d­ina. «È vero», con­fer­ma Vir­gilio Vez­zo­la, pres­i­dente del­l’as­so­ci­azione tart­u­fai bres­ciani e ideatore del­la sper­i­men­tazione baldense, «il pri­mo impianto di Melanospo­rum real­iz­za­to sul Bal­do è entra­to in pro­duzione. Abbi­amo rac­colto cam­pi­oni anche da tre­cen­to gram­mi. Un otti­mo risul­ta­to, anche se andrà ver­i­fi­ca­to nel tem­po, vis­to che il 2002 è sta­to par­ti­co­lar­mente propizio come rac­col­ta del nero pre­gia­to». Ma dove sia ques­ta tart­u­fa­ia, Vez­zo­la non lo vuol pro­prio riv­e­lare. «Altri­men­ti rischierem­mo l’as­salto da parte dei rac­cogli­tori, van­i­f­i­can­do l’im­peg­no che abbi­amo sin qui riv­olto al prog­et­to», dice. Che il Bal­do sia ter­ra di tartu­fi i buongus­tai del­la zona lo san­no bene. Da sec­oli. Del tartu­fo mon­te­baldino, e più pre­cisa­mente di quel­lo di Capri­no, si par­la ad esem­pio in uno scrit­to del­la fine del Set­te­cen­to. È una relazione ind­i­riz­za­ta all’ Accad­e­mia d’A­gri­coltura Scien­ze e Let­tere di Verona dal nobile Agosti­no Pig­no­lati. Vi si legge che dagli «uber­tosi» rilievi col­li­nari del­la zona si invi­a­vano tartu­fi alla corte impe­ri­ale tedesca addirit­tura per cinque o sei mesi l’an­no. Ma non solo. Sec­on­do il Pig­no­lati, i tartu­fi del Capri­nese era­no «ad onta di esor­bi­tante prez­zo ricer­cati, e spedi­ti in lon­tane regioni». Ai nos­tri giorni sul Bal­do di tartu­fi se ne trovano anco­ra parec­chi. E di qual­ità. Ne ha dato dimostrazione durante il tra gli olivi a Gar­da un gio­vane cer­ca­tore di Brenti­no Bel­luno, Fran­co Castel­let­ti, ani­ma­tore del­l’as­so­ci­azione tart­u­fai del Monte Bal­do, che ha espos­to qua­si quo­tid­i­ana­mente il pro­prio rac­colto. C’er­a­no il Tuber Bru­male (il tartu­fo ner­to inver­nale), il Melanospo­rum, il Macrospo­rum. «Ecco, il Macrospo­rum è sicu­ra­mente il tartu­fo del futuro», sostiene Vez­zo­la, «per­ché è pro­fu­ma­tis­si­mo, non viene attac­ca­to dai paras­si­ti, dura anche un mese, ed ha un’ot­ti­ma resa nei casi di micoriz­zazione, o almeno così abbi­amo ver­i­fi­ca­to coi pri­mi impianti ten­tati sul Gar­da bres­ciano. E questo ci dà buone garanzie anche per la rius­ci­ta del tartu­fo bian­co». Già, per­ché in area garde­sana c’è anche il famoso, ricer­catis­si­mo Tuber Mag­na­tum, più noto come tartu­fo bian­co di Alba. Se ne trovano pochissi­mi esem­plari, tut­ti in un’area ben cir­costrit­ta sul­la spon­da lom­bar­da del lago. Dove già nel­l’Ot­to­cen­to li ave­va seg­nalati uno stori­co locale, il Solitro: «Nè man­cano nel­la regione odor­osi ed ecc­i­tan­ti tartu­fi bianchi e neri, delizia delle mense sig­no­rili», scrive­va nel 1897. «Sti­amo sper­i­men­tan­do anche gli impianti di tartu­fo bian­co», ammette Vez­zo­la. E come van­no le sper­i­men­tazioni? «Per il momen­to non ci sono seg­nali neg­a­tivi», risponde lui con la sua con­sue­ta pru­den­za. Il che las­cia davvero ben sper­are.

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