lunedì, Maggio 6, 2024
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Fotografia & documento storico. Grande attesa al Fix del bar Riviera per la mostra in bianco e nero di Pietro Basso, attivo in paese da quasi 35 anni. Le immagini scattate all’interno della chiesa e delle celle appaiono sgranate e senza l’ausilio del flas

Gli ultimi eremiti camaldolesi della Rocca

«Va a farte benedir dai frati!». Non è raro sentirlo echeggiare per le vie di Garda, al culmine di qualche accesa discussione. «L’è mèi che te te fàsse benedir dai frati» si suggerisce invece a chi incappa in una serie di disavventure. I frati chiamati in causa sono i camaldolesi della Rocca. O meglio, dell’eremo di monte San Giorgio, come sarebbe giusto definirlo. Oggi sono monaci: hanno contatto con l’esterno, offrono servizio alle comunità locali, ricevono fedeli in cerca di momenti di spiritualità. Fino a pochi anni fa c’erano invece gli eremiti: vita di clausura e ingresso vietato alle donne. A violare la clausura fu soltanto Alessandra di Rudinì, imprevedibile e focosa amante di D’Annunzio, che entrò travestita da cavaliere, quasi un preannuncio di quella che sarebbe stata la sua scelta finale: farsi suora, in Francia. I bianchi eremiti della Rocca sono protagonisti da domani sino alla fine del mese di una mostra fotografica di Pietro Basso. È allestita al Foto Fix, lo spazio dedicato alla fotografia presso il bar Riviera, sul lungolago. «Frati eremiti sulla Rocca di Garda» s’intitola la personale di Basso, che milita nelle fila del circolo fotografico Città di Garda, attivo in paese da quasi trentacinque anni. Sono immagini in bianco e nero. Quelle scattate all’ interno della chiesa e delle celle sono sgranate. Sono state realizzate con pellicole ad alta sensibilità, ma senza l’ausilio del flash, per non disturbare la meditazione. Indubbiamente un buon reportage, ma anche un importante documento: è la testimonianza degli ultimi anni di permanenza degli eremiti sulla Rocca. L’eremo venne fondato nel 1663, ma i lavori di costruzione furono completati solo con l’edificazione della chiesa nel 1704. Prima lì di chiese ne sorgeva un’altra, antichissima. Era dedicata a San Giorgio. A interrompere la permanenza dei camaldolesi sulla Rocca fu Napoleone. Nel 1810 i monaci furono costretti ad andarsene. Con la soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei loro patrimoni da parte dello stato napoleonico, la comunità camaldolese si disperde, per riaggregarsi poi a fine Ottocento. L’eremo della Rocca subì la stessa sorte: fu abitato da contadini fino al 1885, quando ritornò a risiedervi una comunità eremitica. Da qualche anno c’è stata una sostituzione. Via gli eremiti e posto ai monaci, che appartengono comunque all’antica congregazione che ha la sua casa madre a Camaldoli, in provincia di Arezzo. L’ordine è nato tra il 1012 e il 1024. A fondarlo fu San Romualdo di Ravenna, riformatore del monachesimo benedettino. La regola è quella di San Benedetto. Una vita consacrata alla ricerca di Dio nel seno di una comunità di fratelli Degli eremiti la mostra di Pietro Basso ci racconta la giornata. I momenti strategici sono scanditi dalla celebrazione comunitaria della cosiddetta «liturgia delle ore». La campana per la preghiera comune suona infatti quattro volte al giorno, a quattro ore diverse; ci sono l’ufficio delle letture (il notturno) poco prima dell’alba, poi le lodi, l’ora media e i vespri. Poi l’eucaristia e le letture sacre personali. C’è anche il lavoro, all’insegna dell’«ora et labora» benedettino: nei campi terrazzati dell’eremo, fra alti cipressi che disegnano il profilo della Rocca, si coltivano gli olivi e le vigne. Alla preghiera e al lavoro s’aggiungono i momenti dei servizi e delle relazioni. Fino al riposo.

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