venerdì, Novembre 15, 2024
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Inaugurata nelle due sedi della Rocca e del Villino Campi la grande mostra organizzata da museo, comune e provincia. Per gli aspetti scientifici in esposizione le macchine di Leonardo

L’òra: era solo vento, ora è un fenomeno

Fino a ieri l’òra era solo un soffio gagliardo che investe sul mezzodì la Busa, spettina gli ulivi sulla gran gobba del Brione, increspa il lago, gonfia le vele, inafferrabile e libera, capricciosa e fedele. La si vede arrivare dai brividi, niente più che rughe, sul gran riverbero del lago sotto il sole: se il cielo è grigio di nubi basse, la si attende invano nel respiro eguale dell’onda. Nasce di primavera, testimone Giacomo Floriani: «Ora fresca e marzolina/ che te scorle i limoneri/… cessa cessa berechina/ el to zefiro sotìl,/ ora cruda marzolina/ che zà sbocia’l bel april».Poi è arrivata questa mostra, inaugurata con dovizia di illustri personaggi fra la Rocca e Villino Campi, a scompaginare le quiete certezze delle persone semplici, che può voler dire anche ignoranti. Nel senso che, come tutti i venti che si rispettano, anche l’òra è un fenomeno fisico, subito spiegato: l’immensa sassaia delle Marocche al sole s’incendia di calore; l’aria calda pesa meno di quella fredda e così, insegna Archimede, s’invola verso il cielo risucchiando da sud correntoni d’aria. Al Villino, un’òra così, in sedicesimo magari, si può costruire a comando, basta schiacciare un bottone ed il piastrone marrone di sinistra si scalda mentre quello blu di destra si raffredda, e subito un correntino s’avvia, modesto ma autentico, sensibile alla mano. La fisica imperversa anche in Rocca: chi vuole può vedere come si propaga un’onda fatta di barrette di policabonato, come sale una mongolfiera, come è possibile muovendo una ventolina scarrocciare una barchetta a vela. L’esperimento più bello però è quello del tornado, anche se con l’òra c’entra poco, per fortuna. Da sotto, dentro un cilindro viene soffiata in sù acqua nebulizzata, poi un sistema di ventole avvita su se stessa la nebbia che si torce e s’allunga proprio come in tv: a guardar bene si riconosce che dentro il cono bislungo e rovesciato, non c’è niente: a dimostrazione che nell’occhio del ciclone c’è bonaccia. Si chiamano exibit interattivi questi congegni per giocare col vento, ma è un gioco serio, scientifico: alcuni li ha disegnati il grande Leonardo, ed un artigiano fiorentino li ha costruiti copiando con certosina pazienza i disegni dei codici: gli anemometri, l’ala battente, l’aliante, materializzazioni del sogno di spiccare il volo, tormento da Icaro in poi di uomini dalle braccia troppo più deboli delle ali degli uccelli.La scenografia è affidata a pannelli appesi ai soffitti, dai tenui colori pastello: basta lasciar aperta la porta che guarda sul parco perchè entri l’òra, quella vera, a dondolarli. La mostra s’articola in due annate, perchè il vento soffia poderoso anche sui destini economici della Busa. Dapprima sono state le vele ad avviare un turismo elitario di regatanti, oggi migliata di surf traghettano nei paradisi gardesani la gioventù sportiva di mezz’Europa. E dunque in questo 2003 esordisce il design del surf; l’anno prossimo toccherà alla storia del turismo rivano, allargando all’ambiente le considerazioni mosse sulla centralità del vento.Family museum ed angolo del gusto sono i tributi che l’organizzazione paga alla modernità. Nel primo caso c’è un angolo, ricco di cuscini, in cui per i bambini dei genitori in giro per la mostra, custodi patentati racconteranno la leggenda della ninfa Garda, delle sue nozze con Sarca allietate dalla nascita di Mincio a sua volta padre di Virgilio. Nel secondo un ritaglio del cortile offrirà, grazie alla collaborazione di produttori locali, un assaggio dei sapori tipici delle sponde gardesane: insomma, a saperli riconoscere, sapori conditi di vento.

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