Un proclama della Serenissima, datato 1776, in cui veniva indicato il cambio legale delle monete; a destra, una cartolina con il battello postale al porto di Tremosine. – Non solo limoni. Un paio di secoli or sono le rive dell’alto Garda, da Salò a Maderno, biancheggiavano di candido lino esposto al tepore della Riviera. E via Cure del Lino, all’ingresso del capoluogo salodiano per chi arriva da nord, testimonia ancora oggi con il suo nome di questa attività che ferveva su queste sponde gardesane quando ancora vi campeggiava, orgoglioso, il Leone di San Marco. Ai tempi della Serenissima è tornato, per un’interessante quanto minuziosa ricerca storica, Oreste Cagno, bancario a riposo e storico per passione autentica, che ha dato alle stampe i risultati della sua inchiesta a ritroso nel tempo sul viaggio – da Toscolano a Rovereto e ritorno – di una partita di lino. Uno studio ora disponibile nelle edicole della Riviera dei Limoni. Pesca, limonaie e oliveti non furono, dunque, le uniche «imprese» che videro impegnati gli avi gardesani in quello scorcio del Settecento che l’autore indaga. Per la precisione gli ultimi anni del Secolo dei lumi, quando gli effetti della Rivoluzione francese ancora si dovevano riflettere sulla plaga lacustre, con la sistematica cancellazione dei simboli della centenaria dominazione della Repubblica di Venezia. Siamo nel 1793 quando un partita di lino, giunta dalla pianura padana, approda sul Garda dove le fibre venivano sottoposte alle «cure»: lavare, pulire e stendere al sole. Così scrive l’autore ricordando, con la citazione di fonti storiografiche, che «il lino veniva candeggiato nelle cure (da intendersi come i terreni sassosi a lago su cui riposava il refe di lino dal mese di aprile a settembre) che si trovavano dal Carmine a Fasano e che dava un refe ricercatissimo…». Così in quel lontano anno di settecentesca memoria gli Eredi Gio. Avanzini, di Toscolano, affidarono una missiva ai Corrieri Fedrigotti, titolari dell’appalto postale della tratta Mantova-Tirolo, con la data del 6 novembre. Destinatario il signor Giuseppe Tambosi, di Rovereto, nel Principato vescovile di Trento, «titolare di una grossa impresa che operò nel settore tessile per due secoli e che aveva filiali in tutta Europa». L’interpretazione della lettera, densa di termini tecnici, ha visto l’autore della ricerca impegnato a fondo. Ma alle fine il «giallo» è stato risolto. Si parlava, in quel lontano novembre, di una spedizione di lino – un «fagotino» di fior di lino, circa 70 chili in tutto – destinato a lavori di filatura nelle valli trentine prima di tornare «per essere ritorto e addoppiato» sulle sponde del Garda. Ad accompagnare lo scritto, monete d’argento: 40 scudi di Francia, più uno scudo di Milano, per una somma pari a 234 zecchini d’oro del tempo. L’equivalente di circa 25 milioni delle vecchie lire, precisa l’autore, destinati «ad onorare considerevoli lavori di filatura». Ricostruita la strada percorsa da lino e argento, Cagno dedica in chiusura due capitoli alle beccacce della Valvestino ed al viaggio di una cartolina da Limone. Quadretti di tempi andati, che vale la pena di ripercorrere. Buona lettura.
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Un’interessante ricerca storica di Oreste Cagno, ora nelle edicole, ricostruisce una storia benacense di oltre duecento anni fa
Quando sulle rive dell’alto Garda si «curava» il lino
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