venerdì, Aprile 26, 2024
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Figlio d’arte trionfa nel concorso tra produttori artigianali del tradizionale insaccato, premiato dal Papà del Gnoco. Cosa ci vuole per vincere? Acqua in bocca

Segreti cotechini

Giornata ideale quella di domenica per la tredicesima edizione della festa del codeghin a San Pietro Incariano. Il sole, riapparso dopo diversi giorni di nuvole basse e pioggia battente, ha contribuito a fare grande anche questa edizione della manifestazione, organizzata dall’Eletta Confraternita del Codeghin, che pure quest’anno ha richiamato nel capoluogo valpolicellese centinaia di amanti del principe degli insaccati. Una edizione da record, con 170 chili di cotechino (480 pezzi) distribuiti a tutti i presenti. Il cotechino dell’anno è di Giuseppe Ceradini, 35 anni, artigiano, figlio d’arte: è infatti genero di quell’Italo Zangrando, scomparso due anni fa, che è stato uno dei veterani della manifestazione e uno dei più premiati. «L’insacca un amico», spiega Ceradini, «poi con gli altri amici ci troviamo per gli assaggi e scegliere il più buono». Una festa nella festa, insomma, quella dell’artigiano, per il quale la bontà di un cotechino non sta solo nell’impasto. «Molto importante è anche la cottura», assicura, «e per quella ho imparato i segreti da mio padre. Quali? I segreti sono fatti per rimanere tali». Se il Re ha la bocca cucita non da meno è il secondo classificato, Silvano Donatelli, pensionato. «Per fare un buon insaccato tutto dev’essere naturale», dice, «il resto vien da se». Il terzo posto è andato a una coppia, Flavio Zardini e Gigi Simeoni, che assicurano preparare il loro prodotto con le proprie mani, anche se a guardarli bene, qualche ragionevole dubbio permane. Tra gli invitati alla festa del codeghin di domenica mattina, presenti come di consueto quelli della Confraternita Enogastronomica di Botticino, il cestista Roberto dalla Vecchia, un abitué ormai, e il Papà del Gnoco. «Gnochi e codeghin no va tanto d’acordo», ha sottolineato qualcuno. «Un bel piatto di gnocchi, seguito da un buon cotechino», è stata la risposta della maschera veronese, «sono una gioia per il palato». Ci vuol stomaco. (g.r.)

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