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Un comunicato stampa dell'Associazione Amici di Bensheim rende edotto il popolo rivano sui punti salienti dell'ultima spedizione nella città gemellata

Gemellaggio saturo di pathos e rivani saturi di bizantinismi

Un comunicato stampa dell’Associazione Amici di Bensheim rende edotto il popolo rivano sui punti salienti dell’ultima spedizione nella città gemellata. Un viaggio di alcuni giorni, capitanato dal presidente Franco Gamba, istituzionalmente arricchito dal vicesindaco Pietro Matteotti e dall’assessore Luigi Marino, culturalmente segnato dalla presenza del «critico nazionale, ospite d’onore dottor professor» Pier Luigi Menapace, operativamente dedicato all’allestimento a Bensheim di una «straordinaria manifestazione». Ovvero la mostra dei «più significativi artisti di Riva»: Aroldo Pignattari, Luigi Meregalli, Germano Alberti, Mario Matteotti e Silvana Groff (gli ultimi tre presenti di persona a Bensheim: anche loro, come il resto della delegazione, «accompagnati dalle gentili consorti»). Apprendiamo così, sempre leggendo il comunicato, del ricevimento «con tutti gli onori» al Grand Hotel Bacchus, con «sontuosa cena»; della successiva «colazione di lavoro» al Zur Post; della pomeridiana «degustazione delle specialità locali» nel ristorante del castello di Auerbach che ha preceduto la vernice della mostra.Veniamo quindi trasportati alle ore 18, sempre di venerdì 20 ottobre. Il sindaco di Bensheim porge «un caloroso benvenuto non disgiunto dall’ammirazione sua e di tutto il consesso comunale», mentre il professor Menapace «oratore ufficiale della serata, commosso ed onorato del mandato» presenta gli artisti. Alla fine è lo stesso Burgmeister che, «compiaciuto, fa oggetto l’oratore di un omaggio, accompagnato dall’elogio per aver affascinato tutti con la sua cultura».Ma non è finita. Nell’atmosfera della serata, «già satura di pathos collettivo», prorompe (e ora siamo al Paktheater) il corpo di ballo di Maria Grazia Torbol (evidentemente fa parte della trasferta), che con «un saggio di alta scuola» conquista «l’apprezzamento di tutti» e il delirio onirico di qualcun altro, che «manifesta l’auspicio di rivedere un giorno l’artista sublime nella compagnia di Maurice Bejart». Sbrigativo il resoconto di viaggio dei «dì seguenti»: visita all’Università, alla fortezza di Heidelberg e alla città di Rothenburg.Fin qui il diario per la stampa degli Amici di Bensheim. Da qui in poi il brevissimo commento di chi scrive su questo giornale, che peraltro ha avuto altre occasioni di manifestare le sue perplessità sui gemellaggi e sulle «trombonate». (A proposito. Complimenti a Nago-Torbole e a tutti i suoi amministratori del Dopoguerra, che – unici nella Busa – non si sono mai fatti affascinare dall’idea: e non ci sono segnali che nel paese dell’òra siano meno «europeisti» che altrove!).Il commento è una semplice domanda a nome di quei rivani che (forse per insensibilità cronica) non si fanno prendere dalle «atmosfere di pathos collettivo dei gemellaggi»: se l’ esportazione della città e dell’amicizia è ancora così palesemente a livello bizantino, vale la pena che il Comune vi investa energie e denaro (di tutti) nell’anno di grazia Duemila?

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