venerdì, Maggio 3, 2024
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Diciannove opere di Ottavio Giacomazzi al Castello di Malcesine. Non si sarebbe potuto trovare luogo più adatto per una personale del pittore melsineo Ottavio Giacomazzi.

I colori del lago di Giacomazzi

Diciannove opere di Ottavio Giacomazzi al Castello di Malcesine. Non si sarebbe potuto trovare luogo più adatto per una personale del pittore melsineo Ottavio Giacomazzi, se non il Castello, che l’artista, purtroppo scomparso prematuramente lo scorso anno, amava tanto.La mostra, che verrà allestita in sala Labia e vi rimarrà da sabato 3 (alle ore 18 l’inaugurazione) al 30 giugno, e che per necessità spaziali è poco più che un omaggio, ripercorre brevemente i momenti più importanti della sua attività artistica.Non si tratta di una retrospettiva antologica, che avrebbe richiesto un maggior numero di testimonianze pittoriche, ma nemmeno della documentazione di un dato periodo. Le tele esposte sono un excursus che attraversa le diverse stagioni della ricerca di Giacomazzi, dal 1960 al 1997.Il pittore melsineo, che studiò a Stoccarda con Manfred Hen-ninger, fu conosciuto e capito maggiormente all’estero che non in Italia. Tuttavia molti dei critici più importanti italiani si sono occupati dei suoi quadri;tra i tanti ricordiamo Giuseppe Marchiori, Gillo Dorfles, Giorgio Cortenova, Enrico Mascelloni, e Alberto Lui. L’ispirazione che quest’artista traeva dalla propria terra, è risultata fondamentale. “A Giacomazzi”, scrive Elena Pontiggia nel catalogo, ” il lago piaceva soprattutto come repertorio cromatico, come inesauribile invenzione di toni e colori. Era per lui una grande tavolozza, che non mancava mai di sorprenderlo. Gli piaceva soprattutto l’instabilità del paesaggio, l’acqua che diventa dunque un metafora esistenziale, un simbolo del nostro svanire”.L’artista ruba, dunque, alla natura e alla vita, il senso di precarietà, di brevità, per trasferirlo nelle proprie opere: “C’era nei suoi segni qualcosa “, scrive ancora Pontiggia, “che alludeva sempre, in maniera discreta e come intimidita, al passare del tempo, al fatto che la nostra vita è attraversata dalla morte. Per questo i materiali che prediligeva erano soprattutto le carte, che poteva lacerare, e poi medicare, come ferite ancora aperte”.L’uso delle carte giapponesi proprio per questo si fa essenziale nella sua arte; Giacomazzi le strappa, le lacera, le sovrappone, le colora, crea così un qualcosa di materiale ma che allo stesso tempo suscita nello spettatore il senso di un oltre che si trova al di là della fìsica superficie dell’opera

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