domenica, Maggio 19, 2024
No menu items!
HomeAttualitàLa grande fatica delle Palere
Un curioso volume di Oreste Cagno. Ambulanti-donne, vendevano oggetti di legno

La grande fatica delle Palere

La ricerca di Oreste Cagno, intitolata «Storie gardesane», stampata da Grafica di Arco e diffusa in questi giorni, propone tante curiosità sul territorio dell’Alto Garda. L’inizio è riservato all’eremo di San Giorgio in Varolo, località Prato della Fame, Tignale, scavato nella roccia, composto da una chiesetta e da sette celle, raso al suolo nel 1929-31, durante la costruzione della strada 45 bis. Alcuni lo ritengono la base dei francescani. Attraverso una serie di considerazioni, Cagno sostiene che si trattava invece di un luogo utilizzato per gli esercizi spirituali, e che i frati vivessero a Gargnano, nel primo convento aperto sul Garda. Una presenza dettata sia dal desiderio di evangelizzare la gente che da finalità economiche (introduzione dell’agrumicoltura).Poi è la volta del carbuner della Valvestino, «un artista, il possessore di antichi segreti tramandati nei secoli, e che oggi si sono spenti per sempre». Il lavoro consiste nel dominare il fuoco, plasmandogli addosso la terra, prima che il legno divampi. I rami e i tronchi d’albero, sistemati su una catasta, venivano trasformati in carbone, in giornate piene di fumo, freddo e fame (le tre effe).C’è la storia delle palere, giovani ambulanti trentine, venete o friulane che arrivavano in primavera, come le rondini. Le spalle piegate dalle gerle colme di articoli artigianali (zoccoli, forchettoni per cucinare, cucchiai di legno), attraversavano a piedi un paese dopo l’altro. Infagottate in ampi abiti, si adattavano a dormire nei fienili, nei prati o sotto i ponti. Talvolta portavano a tracolla delle cassette ripiene di mercerie (fili, gomitoli, spille, collanine). E vendevano alle comari i loro manufatti. Ma nel libro c’è pure un cenno alle donne che giungevano da lontano, e si fermavano alcuni mesi, per stendere il filato di lino sulle spiagge. A Salò il ricordo è affidato a via «Cure del lino», la strada che corre parallela tra il lago e viale Landi.Adesso il lago è terra di turisti. Ma in passato, fino a tutto il Settecento, gli statuti comunali equiparavano «i forestieri agli orfani, ai minori, alle vedove e alle persone miserabili». Soltanto gli abitanti di una determinata zona potevano votare, essere eletti e diventare proprietari di campi, boschi, montagne, pascoli, malghe. Nessuno vedeva di buon occhio l’arrivo di altre famiglie, che, per acquisire gli stessi diritti e doveri degli «originari», dovevano attendere almeno 10 anni (in alcuni casi addirittura 50), e pagare una congrua somma di denaro, a titolo di tassa di ingresso.Cagno, che aveva già pubblicato «Cento zecchini per un piatto di polenta» e «Il lino nell’Alto Garda bresciano», parla poi della flottiglia del lago, che, durante il regno d’Italia napoleonico, aveva la sede a Malcesine, trasferita quindi a Salò (durante la terza guerra di indipendenza, nel 1866), a Peschiera (agli inizi del secolo) e a Maderno, dopo la grande guerra del 1915-18. E ancora, in un balzo continuo da un paese all’altro, le righe dedicate alla petizione degli abitanti di Navazzo per la sistemazione della piazza (nel 1860), alla grande cartiera di Toscolano costruita «inconsapevolmente» sulle rovine della villa romana (1905-06), ai volontari garibaldini, all’esattore delle imposte che andava nelle case, alla Magnifica Patria, alla Repubblica sociale italiana di Benito Mussolini.Un viaggio nel tempo, tra uomini e avvenimenti, conosciuti e no. Una ricerca che Giovanni Pietro Mazza, presidente della biblioteca di Magasa, definisce «un lavoro certosino, un esempio di passione e dedizione per il nostro bellissimo territorio».

Articoli Correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

In Evidenza

Dello stesso argomento

- Advertisment -

Ultime notizie

Ultimi Video