Nato a Verona nel 1753, morto nel 1828, natura incline alla solitudine e innamorato della vita agreste, Ippolito Pindemonte fu col Monti e col Foscolo uno dei sostenitori del classicismo contro il romanticismo. Lord Bryon, del «celebre poeta di Verona» tracciò questo profilo: «È un ometto magro, dai tratti fini e piacevoli, dai modi buoni e gentili, dall’aspetto nell’insieme molto filosofico, d’una età sui sessant’anni o più. È uno dei migliori poeti viventi, un simpatico, piccolo vecchio signore». Discendente da nobile famiglia, imparentata coi Maffei, fece gli studi nel collegio San Carlo a Modena, dove fu tra i primi nella letteratura classica e nelle scienze metafisiche e morali, tanto che meritò il titolo di Principe dell’Accademia. Come pochi il «dolcissimo» Ippolito seppe gustare le gioie della vita campestre e della solitudine. Nel parco dei marchesi Maffei, in Valeggio sul Mincio, ora parco Sigurtà, una lapide ricorda i suoi versi: «Sì dilettosa qui scorre la vita – Ch’io qui scrupolo avrei farmi eremita». Nella «Poesie campestri», composte ad Avesa, lodò «La Malinconia»: «Fonti e colline – chiesi a gli Dei: – m’udiro al fine, – pago io vivrò -… Melanconia, ninfa gentile, – la mia vita – consegno a te. – I tuoi piaceri chi tiene a vile, – ai piacer veri – nato non è…». A lui, che aveva iniziato il poemetto su «I Cimiteri», il Foscolo dedicò il superbo carme de «I Sepolcri», sicchè egli interruppe il suo poema e compose un’epistola dello stesso titolo foscoliano (1807). Sua ninfa Egeria fu Lèsbia Cidonia, ossia Paolina Grismondi, una delle più delicate poetesse di tutti i tempi. L’incontro col giovane Ippolito avvenne nella primavera del 1778: «Vive tuttavia qualche buon sacerdote – racconta Benassù Montanari – che sorridendo ricorda ancora il gran spasseggiare di Paolina a braccio d’Ippolito quando sereno era il cielo, lungo un doppio filar di arcipressi…» Ippolito Pindemonte fu, pressoché universalmente, giudicato nel suo tempo uno dei maggiori poeti viventi: ed era epoca che di poeti – a considerare solo i grandi – non fu avara. Un personaggio, che onorò anche Valeggio.
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Il poeta a villa Maffei. «Sì dilettosa», scrisse, «scorre la vita...»