domenica, Dicembre 8, 2024
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Il baito dei Santi ha fatto il miracolo Si ritorna a far formaggio in malga

Riscoperta l’arte casearia che sul Baldo veronese era un ricordo

Il baito dei Santi ha fatto il miracolo. Finalmente si torna a far formaggio in malga. Sul Baldo veronese l’antica arte casearia pareva tramontata, morta e sepolta. Invece ecco la resurrezione. Merito di un allevatore di San Zeno di Montagna, Ugo Bonafini, e dei suoi figli, Mirco e Stefano, diciott’anni il primo, ventuno l’altro. Prima lavorazione il 27 giugno, una data da segnare negli annali della cronistoria baldense. Mirco snocciola la sequenza degli esperimenti al baito: «Il 27 giugno abbiamo fatto il Malga, un formaggio che è già buono dopo due mesi, ma che è meglio consumare dopo i sei. Il 29 ancora il Malga e poi certe formaggelle che dovrebbero diventare piccanti. Il 16 luglio il Monte Veronese. Il 18 un Monte da stagionare e le prime caciottine, pronte in quindici giorni». «Avevamo le bestie e la malga – racconta Bonafini senior – e allora abbiamo pensato di cominciare a produrre formaggio. Abbiamo rimesso a posto il baito, che era stato costruito nel 1919. Intanto i ragazzi sono andati a imparare il mestiere in una scuola specializzata, nel Bresciano». Hanno avuto anche la fortuna di potersi avvalere di un consulente di prestigio: Gianni Roncolato, presidente del Consorzio di tutela del Monte Veronese dop. Già, perché sino ad ora qui di Monte Veronese non se n’era realizzato neanche un pezzetto, lasciando alla Lessinia il dominio assoluto. Invece ecco le prime forme: tre in tutto, per ora, «ma il nostro augurio è che questo sia soltanto l’inizio», dice Roncolato, che in quanto ad emozione nel giorno della prima lavorazione non era da meno dei Bonafini. E poi al baito di Santi di prodotti caseari ne è rinato un altro: la formaggella sott’olio. Sembrava destinata anche questa inesorabilmente all’oblio. «Abbiamo provato a farla come i nostri vecchi – racconta papà Ugo -, ma sapremo se è riuscita solo ai primi di ottobre, quando apriremo i vasi». La caciotta tagliata a cubetti è finita sotto l’olio degli oliveti della Pissarotta, subito sopra Fasor, nel Comune di Brenzone. La ricetta è quella della Maria, la bisnonna brensonàla, scomparsa non da molto, alla bell’età di 92 anni. I quantitativi? Piccoli, almeno per ora. Tant’è che molti si sono già fatti avanti per prenotare forme intere e formaggelle. «Per adesso trasformiamo il latte due o tre volte la settimana: non abbiamo tempo per fare di più», precisa Mirco, che si sobbarca lavoro doppio adesso che Stefano è a fare il militare. In famiglia lavorano tutti: se occorre, in stalla danno una mano anche mamma Patrizia e Valeria, la figlia. In malga, ai Santi, ci sono venti vacche, quelle selezionate per il latte da formaggio. Le altre bestie, sessanta-settanta paghe in tutto – la paga è l’unità di misura delle bestie al pascolo -, i Bonafini le hanno in tre malghe prese in affitto fra Prada e Lumini. «Per noi, cominciare a fare il formaggio è un bell’impegno, anche economico: speriamo bene», dice, misurato, papà Ugo. Andrà bene, c’è da esserne certi. Le condizioni ci sono tutte. Intanto, per il Baldo è già un successo l’aver ritrovato i propri formaggi perduti.

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