giovedì, Novembre 30, 2023
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Riscoperta l’arte casearia che sul Baldo veronese era un ricordo

Il baito dei San­ti ha fat­to il mira­co­lo. Final­mente si tor­na a far for­mag­gio in mal­ga. Sul veronese l’an­ti­ca arte casearia pare­va tra­mon­ta­ta, mor­ta e sepol­ta. Invece ecco la res­ur­rezione. Mer­i­to di un all­e­va­tore di San Zeno di Mon­tagna, Ugo Bonafi­ni, e dei suoi figli, Mir­co e Ste­fano, diciot­t’an­ni il pri­mo, ven­tuno l’al­tro. Pri­ma lavo­razione il 27 giug­no, una data da seg­nare negli annali del­la cro­nis­to­ria baldense. Mir­co snoc­ci­o­la la sequen­za degli esper­i­men­ti al baito: «Il 27 giug­no abbi­amo fat­to il Mal­ga, un for­mag­gio che è già buono dopo due mesi, ma che è meglio con­sumare dopo i sei. Il 29 anco­ra il Mal­ga e poi certe for­maggelle che dovreb­bero diventare pic­can­ti. Il 16 luglio il Monte Veronese. Il 18 un Monte da sta­gionare e le prime caciot­tine, pronte in quindi­ci giorni». «Ave­va­mo le bestie e la mal­ga — rac­con­ta Bonafi­ni senior — e allo­ra abbi­amo pen­sato di com­in­cia­re a pro­durre for­mag­gio. Abbi­amo rimes­so a pos­to il baito, che era sta­to costru­ito nel 1919. Intan­to i ragazzi sono andati a impara­re il mestiere in una scuo­la spe­cial­iz­za­ta, nel Bres­ciano». Han­no avu­to anche la for­tu­na di pot­er­si avvalere di un con­sulente di pres­ti­gio: Gian­ni Ron­co­la­to, pres­i­dente del Con­sorzio di tutela del Monte Veronese dop. Già, per­ché sino ad ora qui di Monte Veronese non se n’era real­iz­za­to neanche un pezzet­to, las­cian­do alla Lessinia il dominio asso­lu­to. Invece ecco le prime forme: tre in tut­to, per ora, «ma il nos­tro augu­rio è che questo sia soltan­to l’inizio», dice Ron­co­la­to, che in quan­to ad emozione nel giorno del­la pri­ma lavo­razione non era da meno dei Bonafi­ni. E poi al baito di San­ti di prodot­ti caseari ne è rina­to un altro: la for­maggel­la sot­t’o­lio. Sem­bra­va des­ti­na­ta anche ques­ta inesora­bil­mente all’oblio. «Abbi­amo prova­to a far­la come i nos­tri vec­chi — rac­con­ta papà Ugo -, ma sapre­mo se è rius­ci­ta solo ai pri­mi di otto­bre, quan­do aprire­mo i vasi». La caciot­ta tagli­a­ta a cubet­ti è fini­ta sot­to l’o­lio degli oliveti del­la Pis­sarot­ta, subito sopra Fasor, nel Comune di Bren­zone. La ricetta è quel­la del­la Maria, la bis­non­na bren­sonàla, scom­parsa non da molto, alla bel­l’età di 92 anni. I quan­ti­ta­tivi? Pic­coli, almeno per ora. Tan­t’è che molti si sono già fat­ti avan­ti per preno­tare forme intere e for­maggelle. «Per adesso trasformi­amo il lat­te due o tre volte la set­ti­mana: non abbi­amo tem­po per fare di più», pre­cisa Mir­co, che si sob­bar­ca lavoro doppio adesso che Ste­fano è a fare il mil­itare. In famiglia lavo­ra­no tut­ti: se occorre, in stal­la dan­no una mano anche mam­ma Patrizia e Vale­ria, la figlia. In mal­ga, ai San­ti, ci sono ven­ti vac­che, quelle selezion­ate per il lat­te da for­mag­gio. Le altre bestie, ses­san­ta-set­tan­ta paghe in tut­to — la paga è l’u­nità di misura delle bestie al pas­co­lo -, i Bonafi­ni le han­no in tre mal­ghe prese in affit­to fra Pra­da e Lumi­ni. «Per noi, com­in­cia­re a fare il for­mag­gio è un bel­l’im­peg­no, anche eco­nom­i­co: spe­ri­amo bene», dice, mis­ura­to, papà Ugo. Andrà bene, c’è da esserne cer­ti. Le con­dizioni ci sono tutte. Intan­to, per il Bal­do è già un suc­ces­so l’aver ritrova­to i pro­pri for­mag­gi per­du­ti.

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