Si sfoga il signor van Steenbeek, uno dei tanti stranieri nordici che ha scelto l’Alto Garda per lavorare e per vivere. Si sfoga e protesta: «Non ne posso più di quel continuo suonare: è un vero inquinamento acustico. Mi è impossibile andare avanti così, tanto che penso proprio che, il sabato e la domenica, a Torbole non ci verrò mai più». Che strombazzano sono i capitani della Navigarda. Senza alcuna pietà, naturalmente. La loro, d’altro canto, è un’aspra guerra per conquistarsi una rotta libera verso l’attracco, all’imbarcadero di Torbole: tra centinaia di surf che sfarfalleggiano da una parte all’altra del lago, da un’onda all’altra, con un affollamento che raggiunge il suo apice il fine settimana. Spesso e volentieri gareggiando con i gli stessi battelli, magari tagliandogli la rotta all’ultimo istante alla ricerca dell’onda più emozionante. A questo punto, per i piloti, l’unica arma consentita per liberarsi pacificamente da quell’assalto è il clacson. Vi ci si attaccano già con largo anticipo, al largo di Corno di Bo’. Lo lasciano quando già quasi sono in acque rivane. Una vecchia storia questa, ad ogni modo. Che rievoca un rapporto tutt’altro che idilliaco tra surf, o vela in genere, e piroscafi della Navigarda. E nel bel mezzo spunta ora un terzo incomodo. Che abita, per sua disgrazia, a poche decine di metri dal pontile. In una bella villa proprio sopra a piombo, nel verde della pineta. E che non sopporta quel suono prolungato. Il rumoroso sottofondo musicale inizia già di buon mattino (la prima corsa attracca alle 9.15), se soffia abbastanza vento da nord da attirare la moltitudine dei surfisti. Si arriva fino a sera (alle 19.50 l’ultimo arrivo), finché spira l’ora, la prediletta per la quantità di onde che regala. In totale, 18 corse di battelli, nell’intera giornata. Aliscafi esclusi, perché si sa, da un paio di anni quelli a furor di popolo hanno pensato bene di toglierli dalle acque torbolane: troppo pericolosi per i surf. «Chiamerò per protestare anche la Navigarda», dice il signor van Steenbeek.
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